Piersanti Bartoli e il ratto di Teofane
della Redazione di Antiqua (*)
Esaminiamo una curiosa stampa dove si vede una ragazza rapida da un uomo barbuto preceduto da una quadriglia di cavalli con coda di pesce guidata da un putto munito di forcone e seguito da due donne dall’espressione affranta [Figura].
Figura. Piersanti Bartoli, Il ratto di Teofane, incisione, seconda metà del XVII secolo, Roma, presso Giovanni Giacomo De Rossi.
Alla base si legge la scritta (T)HEOPHANE BYSALTIDIS FILIA FORMOSISSIMA VERGINEM CUM PLURES PROCI PETERENT A PATRE NEPTUNUS RAPTA TRANSTULIT IN INSULAM CRUMISSAM che, una volta tradotta, significa:
Teofania figlia di Bisante bellissima vergine richiesta al padre da diversi pretendenti, rapita da Nettuno fu portata nell’isola di Crumissa.
Subito sotto si leggono tre scritte:
Petrus Santus Bartolus del. et sculp.
Io Iacob? de Rubeis formis Romae ad Templū pacis cū Priu. S. Pont.
In Museo Angelonio.
Higyni fabulae
La scena si riferisce a una vicenda tratta dalle Favole di Igino (Hygini fabulae), più esattamente alla favola n. 188 intitolata Teofane.
Igino era un liberto dell’imperatore Ottaviano Augusto, divenuto direttore della biblioteca del tempio di Apollo sul Palatino. Amico di Ovidio, scrisse numerose opere di filologia, geografia, storia, agricoltura e critica, di cui ci sono giunti solamente i titoli o pochi frammenti. Da qualcuno è considerato l’autore delle Fabulae, appartenenti al genere letterario della mitografia in prosa, nato con lo scopo di costruire un vero e proprio manuale di mitologia, un repertorio a uso soprattutto di studenti. Le fonti di Igino sono per lo più greche (Omero, Esiodo, Apollonio Rodio), anche se molto spesso, rielaborando trame tragiche, permette di ricostruire i soggetti di drammi perduti della tragedia greca e romana, pur non essendo esente da marchiani errori di traduzione o interpretazione dell’originale. Lo stile fa ricorso a un linguaggio semplice ed essenziale, in genere schematico e talora ripetitivo, particolarmente adatto alla lettura scolastica e comunque idoneo a un pubblico di media cultura (nota 1).
Teofane
Tornando al soggetto della nostra incisione, Teofane era una bellissima fanciulla, figlia di Bisante re di Tracia. I suoi molti corteggiatori la cercavano, ma Nettuno la rapì e la portò nell’isola di Crumissa. Quando i pretendenti seppero che si trovava lì, allestirono una nave e si diressero verso Crumissa. Per trarli in inganno, Nettuno trasformò Teofane in una bellissima pecora, se stesso in ariete e i cittadini di Crumissa in gregge. I pretendenti sbarcarono e, non trovando alcun uomo, iniziarono a macellare le greggi per cibarsene.
Quando Nettuno vide che gli uomini da lui trasformati in pecore venivano massacrati, trasformò i pretendenti in lupi. Egli stesso, in forma di ariete, giacque con Teofane e da questa unione nacque l’ariete Crisomallo, il cui vello d’oro, conservato nel tempio di Marte, fu portato via da Giasone.
Piersanti Bartoli
La trasposizione di questo soggetto e la sua incisione si deve a Pietro Santi (Piersanti) Bartoli, come recita la prima delle scritte sotto il titolo.
Questi fu un incisore nato a Perugia nel 1635 e presto trasferitosi a Roma, dove divenne famoso per la riproduzione, mediante disegni o stampe, di pitture e monumenti antichi, ma anche di oggetti archeologici, monete e gemme; incise anche qualche ritratto. Bartoli fu allievo di Nicola Poussin (1594-1665), ma sebbene abbia praticato la pittura, è al Poussin antiquario, piuttosto che al pittore, che egli si riferisce.
Gli viene rimproverata una certa monotonia, ma fu in realtà un soggetto curioso e avido di conoscenze, che viaggiò moltissimo in Europa. Soggiornò a lungo a Parigi dove fu introdotto alla corte di Luigi XIV ed entrò in contatto con celebri artisti e incisori.
Alcune delle sue incisioni fecero epoca e furono stampate e ristampate più volte, apprezzate anche da Winckelmann che le esaltava come strumento per lo studio dell’antico. L’alta considerazione di cui egli godette presso potenti, dotti e artisti d’ogni paese gli procurò ricchezze e onori eccezionali e gli valse la sepoltura a Roma (dove morì il 7 novembre 1700) in S. Lorenzo in Lucina accanto al Poussin (nota 2).
Giovanni Giacomo De Rossi
La seconda scritta (Io Iacob? de Rubeis formis Romae ad Templū pacis cū Priu. S. Pont. ) si potrebbe così tradurre liberamente: “per i tipi di Gio[vanni] Giacomo De Rossi in Roma presso la chiesa della Pace col priv[ilegio] del S[ommo] Pont[efice]”. Non si capisce il punto interrogativo che si legge chiaramente stampato dopo Iacob.
Inoltre “ad Templum pacis”, potrebbe indicare sia la chiesa di Santa Maria della Pace, presso piazza Navona, sia la chiesa di san Biagio, in via della Pace, di fronte alla quale alcune fonti riferiscono si trovasse la bottega, all’angolo con via Tor Millina.
In ogni caso si tratta dell’editore o stampatore, identificabile in Giovanni Giacomo (De) Rossi, facente parte di una famiglia originaria del Milanese che “nel sec. XVII e nella prima metà del XVIII rappresentò la maggiore officina per la produzione e il commercio di stampe artistiche a Roma” (nota 3).
Francesco Angeloni
La terza scritta (In Museo Angelonio) richiama il nome di Francesco Angeloni, nato a Terni nel 1587. Dopo aver completato gli studi a Perugia, si trasferisce a Roma dove assume l’incarico di segretario del cardinal Ippolito Aldobrandini (futuro papa Clemente VIII). L’Angeloni era un umanista e grande erudito, possessore di una nota raccolta di numismatica e di antichità. E’ possibile che l’incisione di Bertoli raffigurante la vicenda di Teofane si riferisca a un rilievo marmoreo che può aver fatto parte di detto “museo Angelonio” (nota 4). Alla sua morte, avvenuta nel 1652, un nucleo consistente della collezione sarà in seguito ereditato da Giovan Pietro Bellori (Roma 1613-1696), suo figlio adottivo, celebre biografo degli artisti barocchi, il quale fu anche antiquario e curatore delle collezioni di Papa Clemente X e, infine, bibliotecario ed antiquario della regina Cristina di Svezia (nota 5). Alla morte del Bellori (1696) sarà proprio il Bertoli a subentrargli diventando antiquario di papa Innocenzo XII e della stessa regina Cristina.
NOTE
[1] Si veda la voce Gaio Giulio Igino su Wikipedia [Leggi].
[2] Le notizie su Pietro Santi Bartoli sono tratte dalla voce curata da Alfredo Petrucci per il Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 6 (1964) [ Leggi].
[3] Su Giovanni Giacomo De Rossi si veda la voce curata da Massimo Ceresa per il Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 39 (1991) [Leggi]. L’argomento meriterebbe un approfondimento e forse qualche rettifica; per ora segnaliamo che Giovanni Giacomo De Rossi dovrebbe essere figlio o comunque erede di Domenico e che potrebbe essere nato nel 1627.
[4] Su Francesco Angeloni si rimanda alla voce di Wikipedia [Leggi].
[5] Su Giovan Pietro Bellori si rimanda alla voce di Wikipedia [Leggi].
(*) Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Antiqua nel gennaio 2013 a firma Pietro Ruga (nome di fantasia).
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