Placchetta in bronzo con Natività, Spagna prima metà del Cinquecento

di Attilio Troncavini e Michele Scapinello

Per svolgere un discorso abbastanza complesso a proposito di una serie di placchette in bronzo raffiguranti la Natività, prendiamo le mosse dalla versione che si trova nella collezione dell’ing. Mario Scaglia [Figura 1], il cui catalogo costituisce oggi il repertorio più completo e aggiornato, almeno per quanto riguarda la letteratura in lingua italiana sulle placchette in bronzo (nota 1).
Si tratta più precisamente di una pace (nota 2), dal momento che sul retro si vedono le tracce dei chiodi metallici ribattuti che tenevano fissa una maniglia [Figura 1 bis].

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Figura 1 e 1 bis. Adorazione del Bambino, placchetta in bronzo, mm. 141 x 109,5, gr. 454,3 (tratta da La collezione Mario Scaglia, op. cit. Vol. III, II.9, p.233, tav. IX e riprodotta per gentile concessione dell’editore Lubrina). Qui attribuita ad artefice spagnolo della prima metà secolo XVI.

Nel corpo principale si vedono Maria e Giuseppe con al centro il Bambino dietro al quale spuntano il bue, l’asino e un angelo con le ali aperte. La scena si svolge tra due colonne all’interno di una struttura absidata con mezza cupola a forma di valva di conchiglia, mentre nelle vele compaiono due teste di cherubini.
Nella lunetta troviamo i due mezzi busti del Padre e dello Spirito Santo con al centro una scritta che ci pare di decifrare come “ME-DELI-CELE(B)” e sull’architrave la scritta BENEDITUS.FR; alla base troviamo una Croce sotto la culla, mentre i due plinti mostrano uno stemma vescovile, a prima vista di non facile decifrazione per le esigue dimensioni delle insegne araldiche e il grado di consunzione del manufatto. È proprio sulla sua identificazione che poggiano in buona parte le conclusioni alle quali siamo giunti con il presente studio.
Il catalogo della collezione Scaglia, redatto da Francesco Rossi, massimo esperto italiano in materia, classifica la placchetta nell’ambito del Primo Rinascimento tra Firenze e Roma con una datazione alla metà del XV secolo e un’attribuzione, seppur in via ipotetica, alla scuola di Antonio Averulino detto Filarete (Firenze 1400 – Roma 1469 circa).
Se non vi sono dubbi sull’interpretazione della scena principale come Natività, i personaggi raffigurati in lunetta sono identificati come due Santi, probabilmente i Santi Pietro e Paolo.
Ci permettiamo di dissentire proponendo il Padre e lo Spirito Santo, secondo un’impostazione trinitaria che vede la terza persona, ossia il Figlio, disceso sulla terra per incarnarsi.
La raffigurazione dello Spirito Santo con sembianze umane è rarissima, tranne nel caso di Trinità costituite da personaggi aventi tutti la medesima fisionomia. È questo il caso della placchetta in discorso, solo che il diverso grado di consunzione aveva in un primo tempo fatto pensare che i due personaggi barbuti fossero sostanzialmente diversi. Come già detto, il Figlio è disceso sulla terra lasciando al suo posto la scritta ME-DELI-CELE(B).
Questa iconografia è comunque piuttosto rara. La troviamo in un Credo figurato inciso da Daniel Hopfer (Kaufbeuren 1471 ca.-Augusta 1536)  dove, nella seconda vignetta, si vedono il Padre e lo Spirito Santo i quali osservano dall’alto il Figlio che ha momentaneamente abbandonato la sua posizione celeste per farsi Cristo crocifero, mentre sulle nuvole, in posizione centrale, resta il suo copricapo e il monogramma JHS (nota 3).
Tornando alla scritta, Rossi la legge MF-DELI-CELE(…) e la scioglie come DELI(CIAE) CELE(STIUM) alludendo alla gioia per la nascita di Gesù. Sempre secondo Rossi, la scritta BENEDICTUS.FR indicherebbe un frate di nome Benedetto, possibile committente della placchetta. La Croce posta alla base rimanderebbe all’ordine domenicano, collegandosi all’apparizione dei Santi Pietro e Paolo a san Domenico di Guzman, mentre lo stemma non viene decifrato (nota 4).
La scoperta più importante, destinata forse a sovvertire le convinzioni riguardanti epoca e provenienza della placchetta riguarda proprio lo stemma. Mentre le decorazioni esterne allo scudo (il cappello e i fiocchi, in numero di dodici disposti sei per lato) lo identificano come uno stemma vescovile, le figure araldiche che compaiono al suo interno (la fascia ingollata da teste di drago, il leone rampante, il “castillo”) e la loro combinazione, sono tipicamente iberiche e proprie di membri della famiglia “De Castilla”. Un membro di questa famiglia, Alonso de Castilla Zúniga, fu vescovo della diocesi di “Calahorra y La Calzada” dall’11 marzo 1523 all’ 8 febbraio 1541, giorno della sua morte. Sul suo monumento funebre, realizzato dagli scultori Gregorio Pardo Bigarny (Burgos 1517- Toledo 1572) ed Esteban Jamete (Orleans 1515 – Alarcòn 1565) tra il 1539 e il 1541 e conservato al Museo Archeologico Nazionale di Madrid, campeggia lo stemma che appare sul plinto che regge le colonne nelle placchette cui facciamo riferimento [Figura 2].

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Figura 2. Confronto tra stemma sulla placchetta di Figura 1 (sinistra), stemma De Castilla (centro), stemma sul monumento funebre di Alonso de Castilla Zúniga (destra).

Lo stesso dicasi, a maggior ragione, per un altro gruppo placchette (Tipo B) che mostrano nella parte principale la stessa Natività e recano nella lunetta la figura di un uomo barbuto a mezzo busto con bastone da pellegrino nella mano destra e libro nella sinistra; ai suoi lati le scritte S.TO e DOMI. Anche la struttura architettonica è la medesima, compreso l’architrave con la scritta BENEDITUS.FR, mentre sui capitelli si fronteggiano dei volatili che possiamo identificare come un gallo e una gallina per le ragioni che saranno spiegate tra poco [Figura 3].
La supposta provenienza iberica del manufatto spinge a leggere la scritta S.TO DOMI come “Santo Domingo” in relazione a “Domenico della Calzada” [Figura 4].

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Figura 3. Natività, placchetta in bronzo, mm. 169 x 103, Cambi Casa d’Aste, Genova, La collezione GM. Lo studio, 26 maggio 2009, lotto n. 197. Qui attribuita ad artefice spagnolo della prima metà secolo XVI.

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Figura 4. Statua di santo Domingo collocata sul suo sepolcro, Santo Domingo de la Calzada (La Rioja), cattedrale del Salvatore e di Santa Maria (Foto di Zarateman, Wikimedia).

Il santo visse in Spagna nel XI secolo, dapprima eremita fu poi, secondo la tradizione, accompagnatore di san Gregorio di Ostia. Si stabilì infine lungo il corso del fiume Oja, nel punto in cui i pellegrini diretti a Santiago di Compostela erano soliti guadarlo. In quel luogo costruì un ponte e trasformò la “pista” in una strada vera e propria (da cui lo spagnolo “calzada”) e sempre qui sorse la città che ancora oggi porta il suo nome e che fa da teatro ai racconti che lo vedono protagonista. Uno dei più famosi narra di un giovane pellegrino ingiustamente condannato a morte per impiccagione mentre percorreva il cammino di Santiago insieme ai suoi genitori. I due, dopo l’esecuzione della sentenza, decisero di completare comunque il loro pellegrinaggio e pregare per un intervento di san Giacomo. Sulla via del ritorno trovarono il figlio ancora vivo, san Domenico lo aveva sorretto per tutto il tempo impedendogli di soffocare. Si recarono allora dal giudice che lo aveva condannato per chiederne la liberazione, questi li accolse con derisione rispondendo che il ragazzo era vivo quanto i polli arrostiti che stava mangiando in quel momento; fu allora che il gallo e la gallina che aveva nel piatto si levarono vivi e vegeti e cominciarono a cantare (nota 5).
La provenienza e la nuova plausibile datazione mettono in crisi l’attribuzione alla scuola di Filarete ovvero a bottega romana del secondo Quattrocento (nota 6).
Sulla scorta di tutto quanto precede, possiamo finalmente attribuire con una certa precisione la placchetta della Natività già pubblicata in dicembre (come semplice cartolina natalizia) della quale mostriamo anche il retro, dove si legge la scritta “3-BP-4” a cui non si riesce a dare un significato preciso, probabilmente il numero di inventario di qualche chiesa o di una collezione [Figure 5 e 5 bis].

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Figura 5 e 5 bis. Natività, placchetta in bronzo, mm. 160 x 107, peso gr. 420, Spagna, prima metà secolo XVI, Milano, collezione privata (Foto di O. Petilli).

Anche di questa placchetta (Tipo C) sono stati selezionati diversi esemplari.
La struttura architettonica è sempre la stessa e sui capitelli si fronteggiano il gallo e la gallina, come nella placchetta precedente. La scena della Natività è la medesima, mentre nella lunetta superiore si vede il Padre che regge un libro.
Di questa placchetta sono stati selezionati diversi esemplari, anch’essi per la maggior parte appartenenti a collezioni pubbliche o private spagnole, contraddistinti dall’assenza di qualsiasi scritta e di simboli araldici all’interno dello stemma sormontato dalle insegne vescovili.
Difficile pensare che si tratti di un modello di bottega, proprio in considerazione del numero relativamente elevato di esemplari finora noti. Poco attendibile è anche l’ipotesi che si tratti di placchette in attesa di una personalizzazione mediante l’incisione di scritte e la creazione dello stemma, magari a smalto. Non abbiamo riscontrato tracce di smalto o dipinture in alcuna placchetta (e nelle placchette in genere), pur considerando che la consunzione potrebbe averle completamente eliminate.
L’ipotesi più probabile è che queste placchette fossero destinate a circolare come paci anonime in versioni più o meno accurate, conservando le insegne vescovili sganciate da qualsiasi intenzione distintiva e celebrativa, nonché il gallo e la gallina con una funzione vagamente evocativa del miracolo, quando non prettamente decorativa.

NOTE

[1] La collezione Mario Scaglia. Placchette (a cura di Francesco Rossi), Lubrina Editore Bergamo 2011, p.88-90 (II.9).

[2] “Tavoletta istoriata, prevalentemente di bronzo e generalmente montata su un supporto per impugnarla, che il sacerdote presentava ai fedeli da baciare prima di distribuire l’eucarestia” [Leggi].

[3] Vedi.

[4] Salvo confermare in base al confronto con altri esemplari che le prime due lettere sono ME e non MF, non è stato ancora possibile decriptare la scritta con certezza. Una lettura come “celebratemi con delizia”, a parte l’eventuale uso inconsueto di delizia invece di gaudio, non trova alcun riscontro testuale. Anche sul significato di BENEDITUS.FR non siamo riusciti a trovare una spiegazione convincente.

[5] Segnaliamo che alcune fonti attribuiscono il miracolo allo stesso san Giacomo-Santiago di Compostela.

[6] Le motivazioni addotte da Rossi per giustificare l’attribuzione al Filarete, che non riteniamo utile riassumere, sarebbero coerenti e plausibili, se non fossero viziate da una diversa lettura iniziale della placchetta.

Ringraziamo Emanuela Fogliadini per l’identificazione dei personaggi in lunetta nella placchetta in Figura 1, Andrea Germi per le prime preziose indicazioni araldiche, i membri del Forum attivo sul sito dell’Istituto Araldico Genealogico Italiano e di Famiglie Storiche d’Italia (www.iagi.info  ), Michael Riddick per aver segnalato numerosi esemplari, Andrea di Lorenzo e Matteo Mazzalupi per aver contribuito all’interpretazione delle scritte e Jessica Gritti, esperta di Filarete, per i commenti sull’architettura delle placchette in discorso.

Prima pubblicazione: Antiqua.mi, luglio 2010 (con il titolo Placchetta in bronzo con Natività).

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