PPL, chi era costui? Gli arredi di villa Palagonia
di Manuela S. Carbone
In alcuni dei più importanti musei del mondo (nota 1) sono conservati divani, sedie e consolles di gran pregio, appartenenti molto probabilmente ad uno stesso insieme. La particolarità, forsanche l’eccezionalità di tali arredi sta nella decorazione realizzata con listelli di vetro dipinto (nota 2), ad imitazione di marmi policromi; sullo schienale delle sedute è chiaramente individuabile un medaglione con il monogramma “PPL” [Figura 1].
Figura 1. Monogramma PPL, particolare di una sedia (vedi oltre Figura 5).
In Sicilia, vicino Palermo, c’è una Villa, Villa Palagonia [Figure 2 e 3], con pareti e soffitti decorati con la medesima tecnica del vetro eglomizzato.
Figura 2. Esterni di Villa Palagonia, Palermo.
Figura 3. Sala degli specchi di Villa Palagonia, Palermo.
Esistono anche delle vecchie fotografie dei primi del XX secolo in cui, nel salone degli specchi di tale Villa, sono immortalati mobili del tutto simili a quelli in esame [Figura 4].
Figura 4. Interno di Villa Palagonia con mobili, fotografia, inizi XX secolo (fonte: Antonietta Iolanda Lima, Realtà/Villa Palagonia, Edizioni Mediterraneo, 1971).
Le tante similitudini e la documentazione fotografica condurrebbero gli studiosi e gli esperti dei vari musei ad attribuire gli arredi a Villa Palagonia, se non fosse per la difficoltà di attribuire il monogramma “PPL” a qualcuno dei membri della famiglia a cui Villa Palagonia è appartenuta.
A causa di questo collegamento mancante, un importante e famoso studioso, Alvar Gonzales Palacios, si è espresso ritenendo “assai improbabile” l’appartenenza degli arredi a Villa Palagonia (nota 3), pur sostenendo la loro “innegabile origine siciliana”.
La posizione espressa da Alvar Gonzales Palacios, studioso serio e scrupoloso, va peraltro compresa e condivisa: sebbene le analogie decorative possano dare allo studioso importanti indicazioni, se non si chiarisce in modo inequivocabile la genesi del monogramma, non si può procedere ad una certa attribuzione degli arredi né alla Villa né alla famiglia.
Questo approccio è universalmente condiviso tanto che i vari musei, pur con diverse sfumature, non nascondono i dubbi sull’attribuzione degli arredi alla Villa.
Nella certezza di aver individuato la soluzione del rebus, nel presente lavoro si mostrerà che il monogramma PPL rimanda ai proprietari della Villa, la famiglia Gravina, e che, quindi, gli arredi possano finalmente essere attribuiti.
A tal fine, si analizzerà il materiale archivistico col fine di ricostruire le trasformazioni della Villa nel corso degli anni e di seguire le vicende dinastiche della famiglia Gravina.
Villa Palagonia si trova a Bagheria, nelle immediate vicinanze di Palermo, ed è di certo quella che spicca per stravaganza ed originalità in un contesto ricco di dimore testimonianti l’opulenza dell’architettura siciliana (nota 4).
Per volere di Don Ferdinando Francesco Gravina e Bonanno (1677-1736), V principe di Palagonia, essa fu costruita nel 1715 da Tommaso Maria Napoli (1655-1725), frate domenicano e architetto.
Non risultano rilevanti interventi da parte del VI Principe di Palagonia, Ignazio Sebastiano Gravina e Lucchese (1699-1746). A partire dal 1747 la Villa subì una radicale trasformazione ad opera di Ferdinando Francesco Gravina (1722-1788), VII principe di Palagonia, trasformazione che la portò ad acquisire una grande notorietà.
Venne decorata con “i mostri”, particolari statue in pietra tufacea, tenera e deteriorabile, raffiguranti animali fantastici, figure antropomorfe e caricature varie.
Ma non fu esclusivamente per tali statue che, nella seconda metà del Settecento, la “Villa dei mostri” divenne, insieme alle colonne di Segesta e ai templi di Agrigento, tappa imprescindibile dei colti visitatori della Sicilia: ad attirare la curiosità furono anche le decorazioni degli interni, gli improbabili arredi nonché il desiderio di fare la conoscenza dello stravagante principe, figura eccentrica e bizzarra.
La Villa fu quindi visitata da illustri viaggiatori, fra i quali si ricorda lo scienziato Michael Joanness De Borche (1753-1811), il pittore ed architetto Janne Houel (1735-1813) e finanche Goethe (1749-1832). Ci si affida ai loro appunti di viaggio per fare un tuffo nel passato e per meglio capire le emozioni suscitate sui contemporanei.
De Borche (nota 5), visitandola nel 1782, rimase così impressionato che descrisse stupefatto alcuni arredi tra i quali il busto di una donna presente nella sagrestia della chiesa, rappresentata con raffinata eleganza ma nello stesso tempo coperta da uno sciame di insetti, scorpioni e vermi nell’atto di roderle viso e petto. Per comprendere lo sgomento dello scienziato bastano poche parole tratte dai suoi appunti: “ovunque emerge follia…”.
Janne Houel (nota 6) così scrisse della disposizione dei sedili nella sala degli specchi: “… ci sono due semicerchi, uno a sinistra e uno a destra della porta d’ingresso, e sono disposti in senso contrario, in modo che le persone sedute in circolo voltano le spalle a quelle sedute nell’altro”. E, a proposito delle sedute: “ci sono sedie e poltrone talmente inclinate in avanti che non potendovi stare per il proprio peso, bisogna fare degli sforzi per non scivolare e cadere”. Fra i tanti elementi che lasciarono Houel stupefatto si ricorda anche il lampadario, realizzato con bicchieri, tazze e vetri rotti.
Infine l’architetto Rosario Scaduto così racconta l’esperienza fatta da un altro illustre visitatore: “Goethe, dopo aver visto i mostri, nella speranza di sollevare il suo spirito, si rifugiò all’interno; ma anche questa esperienza non fu meno traumatizzante: le sedie avevano i piedi segati in modo diseguale da non rendere possibile la seduta. Lo stesso custode avvertiva gli ospiti di prestare attenzione nel sedersi poiché sotto i cuscini di velluto si possono nascondere degli aculei”.
Riferendosi alla galleria, raffigurante una balaustra sovrastata dal cielo e da fantastici uccelli, decorata con vetro eglomizzato ad esatta imitazione di agate, Goethe così commentò: “fu l’unico particolare accettabile che potei scoprire l’altro giorno nelle follie di Palagonia” (nota 7).
Alla morte di Ferdinando Francesco, nell’ultimo decennio del XVIII secolo, la Villa subì ulteriori profonde trasformazioni. L’artefice del cambiamento, dell’adeguamento delle decorazioni e degli arredi al gusto neoclassico, fu Salvatore Gravina e Cottone.
Questi, contemporaneamente fratellastro e genero di Francesco Ferdinando, avendone sposato l’unica figlia ed erede, Maria Provvidenza (1774-1808) (nota 8), consapevole dell’importanza degli interventi che sta operando sulla Villa, non mancò di tenerne traccia e, nella sala ovale, si eternò con una scritta: “Salvatore Gravina, primo di questo nome, principe di Palagonia, del fu fratello Francesco Ferdinando, fondatore di questi singolari ornamenti”. Fece inoltre dipingere la seguente scritta su una delle porte del piano nobile: “cangiò l’antica interior struttura al gusto di una moderna architettura”.
Testimone dei lavori intrapresi fu l’architetto Leon Defourny (1784-1818) che nel suo diario, nella giornata del 24 maggio 1790, appuntò “il principe attuale, figlio (in realtà fratellastro e marito della figlia) dell’autore dei mostri, ne ha fatto togliere una parte. Egli sta facendo decorare l’interno con criteri moderni”.
Ulteriori evidenze documentali dei cambiamenti in corso possono essere trovate nelle stime dell’ing. Luigi Del Frago, datate 23 gennaio del 1795, riguardanti un insieme di interventi di pittura e falegnameria.
Ai fini della presente ricerca sono però fondamentali alcuni inventari che descrivono i mobili presenti nella sala degli specchi.
L’inventario redatto nel 1819 (ASPA, fondo ospedale civico Benfratelli-Palagonia V904) cita:
“22 sedie simili con coperte di musolino, 4 sofà di broccato d’oro e cremisi, con su coperte di musolino, 4 boffette a muro con cristallo e pietra balate di marmo ed intagli dorati, una boffetta quadrata nel centro di maone e oro con balate di mosaico”.
Nell’inventario redatto del 1885 (ADNPA, archivio distrettuale notarile di Palermo, notaio Tesauro Attanasio, V5383 04/02/1885) compaiono:
“N. 4 divani di legno dorato con ornati di cristallo ed altri ornati di metallo dorato con tapezzeria di tessuto con fondo tessuto in seta, lamiera di argento dorato e ori rilevati a velluto per essere di poco gusto si apprezzano per il solo lavoro di tessuto a, 50 l’uno, 200″,
“N. quattro sottospecchi antichi di legno dorato con ornati scolpiti dorati ed rincassi e cassettoni con cristalli, colorito a marmo e lastre sopra di marmo intarsiato a vari colori a, 70 l’uno, 280”,
“N. 7 sedie dello stesso gusto e stima.”
Considerata la somiglianza di sedie, divani e consolles (nell’inventario chiamate sottospecchi) in esame [Figure 5, 6 e 7] con quelle rappresentate nelle fotografie degli inizi del XX secolo (vedi ancora Figura 4), considerata la coerenza di tali pezzi con le descrizioni ricavate dai suddetti inventari, se non fosse per il dubbio relativo al monogramma “PPL” tali arredi probabilmente sarebbero stati già attribuiti alla famiglia Gravina e alla Villa.
Figura 5. Sedia, già arredi di Villa Palagonia, Palermo, fine XVIII secolo (foto Metropolitan Museum of Art, New York).
Figura 6. Divano, già arredi di Villa Palagonia, Palermo, fine XVIII secolo (foto Metropolitan Museum of Art, New York ).
Figura 7. Consolle, già arredi di Villa Palagonia, Palermo, fine XVIII secolo (Sotheby’s, Londra, 6 luglio 2016, lotto 37).
Una volta ancora si evidenzia quanto sia importante sciogliere questo enigma.
Le ricerche sono state quindi estese all’archivio storico, andando ad analizzare l’albero genealogico della famiglia Gravina, ramo dei Principi di Palagonia [Figura 8].
Figura 8. Albero genealogico della famiglia Gravina.
Da tali ricerche è emerso che Ferdinando Francesco Gravina, già settimo principe di Palagonia, sposando nel 1748 Maria Gioacchina Gaetani e Buglio, Principessa di Lercara, acquisisce anche questo titolo, divenendo Principe di Palagonia e Lercara (PPL).
Stesso titolo acquisisce la figlia Maria Provvidenza Gravina e Gaetani (1774-1805) e, grazie al matrimonio, suo marito Salvatore Gravina e Cottone. E’ proprio quest’ultimo, nel rifacimento della Villa, a commissionare gli arredi con il monogramma PPL.
Avendo chiarito che il monogramma PPL fa riferimento a Salvatore Gravina e Cottone, principe di Palagonia e Lercara, d’ora in poi si potranno attribuire gli arredi alla Villa.
NOTE
[1] Metropolitan Museum of Art di New York, Victoria and Albert Museum e Temple Newsame di Londra, The Ringling Museum di Sarasota (Florida), The Art Institute di Chicago.
[2] Tecnica definita verre eglomisé dal nome di un corniciaio francese del XVIII secolo, Jean Baptiste Glomy, che prevede l’uso di lastre di vetro dipinte sul retro.
[3] A. Gonzales Palacios, Il tempio del gusto, le arti decorative in Italia fra classicismo e barocco. Roma e il Regno delle Due Sicilie, Milano 1984. Vol. I, pag. 385.
[4] Come ad esempio Villa Valguarnera, Villa Comitini poi Trabia, Villa Gravina Rammacca, Villa Cordova di S. Isidoro e Villa Spedalotto.
[5] Michael De Borch, Lettres sur la Sicile et sue l’Ile de Malthe de monsieur le Comte De Borch de plusieurs acadèmies à M. Le C. De H., èscrites en 1777 pour servir de supplement au Voyage en Sicile et à Malthe de monsieur Brydonne, V. II, Torino 1782.
[6] Houel J. P. L., Voyage pittoresque des isles de Sicilie, de Malte et Lipari, Paris 1782-1787.
[7] Rosario Scaduto, Villa Palagonia, Storia e Restauro, Bagheria, Falcone 2007, pag. 33.
[8]
“Sul finire del Seicento il quarto principe di Palagonia si era chiesto cosa sarebbe avvenuto della sua grande famiglia e del suo nome glorioso in caso di totale estinzione della linea maschile. Il terribile vecchio, passato alla storia della casata solo per queste clausole testamentarie, si era risposto che la figlia primogenita avrebbe potuto succedere nei titoli in nome di un futuro figlio maschio a condizione di sposarsi «con persona della famiglia Gravina, la più stretta in grado a lui testatore, e, in difetto della famiglia Gravina, con persona della casa Moncada». Poco meno di un secolo dopo l’evento previsto si verificava. Appunto al maggiore dei due fratelli, e cioè a Ferdinando Francesco II, settimo principe di Palagonia sposato a Maria Gioacchina Gaetani e Buglio, nasceva una sola figlia femmina, Maria Provvidenza. Era il 1774, e se Maria Provvidenza avesse sposato il nobile di un’altra casa, la famiglia Gravina si sarebbe estinta e il titolo di Palagonia (con tutti gli altri titoli e… proprietà!) sarebbe passato per sempre ad altri. Se invece… Ecco l’alternativa, decisamente sconcertante, anche se non nuova nelle vicende matrimoniali delle famiglie nobili e ancor di più delle case regnanti della vecchia Europa. Infatti un Gravina c’era ancora, ma era il fratellastro del padre, era Salvatore, zio di Maria Provvidenza ed olimpico amante della vita, ancora scapolo a quarant’anni. E probabilmente anche pronto a sacrificarsi per salvare la stirpe dall’estinzione.”
Testo tratto da un manoscritto gentilmente concesso dal Cavaliere Mariolino Papalia.
Prima pubblicazione: Antiqua.mi, maggio 2018
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