Ribalte della Bassa lombarda

di Andrea Bardelli

Durante il terzo quarto del Settecento, si producono in Lombardia diversi mobili di chiara inflessione veneta, di non immediata identificazione che, per diverso tempo, sono stati classificati come veneti da larga parte del mercato antiquario.
Le province interessate, tra loro contigue, ma con diverse radici storiche, sono quella di Cremona, da sempre nell’orbita milanese e Mantova, prima sostanzialmente indipendente e annessa al Ducato di Milano solo all’inizio del Settecento.
Per trattare l’argomento occorrerebbe molto spazio e numerose illustrazioni, ma ci limitiamo ad alcune considerazioni di carattere generale e a fare alcuni esempi riguardanti i cassettoni a ribalta.
Partiamo da una ribalta lastronata in noce e radica di noce e filettata; la fronte è mossa e spezzata con spigoli ad angolo acuto, i piedi sono a mensola, le maniglie sono in bronzo dorato [Figura 1].

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Figura 1. Cassettone a ribalta, Cremona, prima metà del XVIII secolo, Finarte, aprile 1997 n. 427 (ivi definita emiliana).

Si tratta di un modello tipico di questo genere che, in prima battuta, appare difficile distinguere dai contemporanei modelli dell’entroterra veneto. Si aggiunga che le maniglie di tipo veneto sono nettamente preferite ai pomelli che aiuterebbero a identificare il mobile come lombardo.
In generale, le ribalte venete presentano alcune caratteristiche che in quelle “lombarde” (cremonesi e mantovane), con le dovute eccezioni, non sono riscontrabili, almeno tutte insieme.
Il legno utilizzato in Veneto per la costruzione della struttura è invariabilmente l’abete, le cerniere e la serratura non sono mai “a vista”, bensì nascoste dalla lastronatura, il piano della ribalta è sostenuto da elementi che si estraggono dal corpo del mobile. Per contro, quindi, le ribalte lombarde (nell’accezione di cui sopra) sono costruite in pioppo, presentano cerniere e serrature a vista e l’asse della ribalta, una volta calato, si sostiene da solo.
Quest’ultimo particolare è ravvisabile nella prima ribalta illustrata. Essa presenta inoltre un piede a mensola che, in questa forma e con i riccioli intagliati, è da considerare tipicamente lombardo (nota 1).
In particolare, il mobile in questione è da ritenere cremonese per un dettaglio: il profilo mosso della parte alta del piano ribaltabile, circostanza questa che condivide con Brescia e con il Veneto in genere, ma quasi mai presente nelle ribalte mantovane che hanno l’asse della ribalta rettilineo.
Si veda questa ribalta mantovana [Figura 2], lastronata in gelso, olmo e radica di noce, tutte essenze lignee diffuse nell’ebanisteria tra Lombardia ed Emilia.

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Figura 2. Cassettone a ribalta,, Mantova, prima metà del XVIII secolo, Antiquario Cuoccio.

Essa non solo ha l’asse della ribalta dritto, ma presenta un dettaglio apparentemente trascurabile, ma peculiare di alcune ribalte della zona: l’asse è priva di spalle e, ai suoi lati estremi, vediamo un profilo arrotondato (si tratta in realtà del bordo della fiancata) che prosegue sulla parte superiore del mobile delimitandola.
Esiste però un altro modello mantovano dove le spalle ai lati dell’asse della ribalte sono così accentuate da creare confusione con le più tipiche ribalte veronesi [Figura 3].

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Figura 3. Cassettone a ribalta, Mantova, prima metà del XVIII secolo, L’Aquila, collezione dott. Guadagni.

Segnaliamo che vi sono altre ribalte mantovane che hanno un cassettino contenuto in ciascuna spalla e che le rende con ciò ancora più simili a quelle “scaligere” (nota 2) . In questi casi, l’unico modo per riconoscerle è la verifica del legno di struttura: pioppo a Mantova, abete a Verona.

NOTE

[1] Questa del piede è una particolarità che consente di distinguere le ribalte in questione, ad esempio, da quelle emiliane, che possono essere simili, ma che presentano il tipico piede a mensola, frontalmente aggettante rispetto alla cornice di base (G. Manni, Mobili antichi in Emilia Romagna, Artioli, Modena 1993, p. 122 n. 124, p. 255 n. 254-255, p. 135 n.276-278-279).

[2] C. Santini, Mille mobili veneti, Artioli, Modena 2000, II (Verona, Padova, Rovigo), p. 80 e ss. n. 146-158 e p. 100 n. 188.

Prima pubblicazione: Antiqua.mi, scritto il 19 ottobre 2010

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