Scene e personaggi intarsiati sui mobili neoclassici lombardi. Parte III
di Andrea Bardelli
Affrontiamo nuovamente l’esame di alcune scene e personaggi che compaiono intarsiati nei mobili neoclassici lombardi, al centro di medaglioni collocati sulla fronte, ma, talvolta anche sul piano e sui fianchi (nota 1).
Amor pazzo e Amor crudele
In un articolo dal titolo Mobili neoclassici col motivo intarsiato dei due falchetti (gennaio 2020) [Leggi] mostravamo un cassettone passato in asta da Christie’s nel giugno 1991 (ivi Figura 2), decorato con un medaglione raffigurante un putto alato alla guida di una biga trainata da una coppia di leonesse. Facevamo anche vedere il medaglione riferito al suo gemello, raffigurante un putto alato alla guida di una biga trainata, questa volta, da una coppia di capre (ivi Figura E).
A distanza di qualche anno, abbiamo l’opportunità di vedere anche il cassettone pendant [Figura 1] e riferire che i due medaglioni trovano un preciso confronto in due tempere su carta di Michelangelo Maestri dal titolo, rispettivamente di Amor pazzo e di Amor crudele [Figure 2 e 3].
Figura 1. Bottega lombarda, cassettone neoclassico intarsiato, Christie’s giugno 1991 n. 552 (esposto in occasione della Mostra commemorativa di Giuseppe Maggiolini, Milano novembre-dicembre 1938, catalogo p. 56, scheda 136, tav. 49).
Figure 2 e 3. Michelangelo Maestri, Amor Pazzo (a sinistra) e Amor crudele (a destra), tempera su carta, cm. 36,5 x 53, firmate in basso a destra “Mich. Ang. Maestri fece in Roma” e iscritte in basso a sinistra “Giul. Rom. Inv.”, Il Ponte ottobre 2019 n. 16 e n. 17 (nota 2).
Non conosciamo la data di nascita di Michelangelo Maestri, morto a Roma nel 1812 e quindi presumibilmente attivo tra Sette e Ottocento. La sua specialità erano piccoli dipinti a tempera di soggetto mitologico, tratti dalle pitture antiche rinvenute a Ercolano e Pompei [Figura 4] oppure dalle opere di Raffaello, di Giulio Romano e della loro cerchia (nota 3).
Figura 4. Affreschi, I secolo d.C, Pompei, Casa dei Vettii.
Nel caso specifico, Amor Crudele e Amor Pazzo sono ricavati dagli affreschi di Villa Lante al Gianicolo di Roma, attribuiti a Giulio Romano [Figura 5].
Figura 5. Giulio Romano e collaboratori, affreschi, 1520-1525 circa, Roma, Villa Lante al Gianicolo.
Si ritiene che la conoscenza da parte di Maestri degli affreschi di Giulio Romano non fosse diretta, bensì mediata dalle incisioni su disegni di Tommaso Piroli (1750-1824) pubblicate nel 1803 a Parigi dai fratelli Piranesi (nota 4).
Le incisioni parigine raffiguranti i soggetti in questione recano i titoli di Génie de Pan e Génie de Bacchus [Figure 6 e 7].
Figure 6 e 7. Tommaso Piroli, Génie de Pan (a sinistra) e Génie de Bacchus (a destra), incisioni, Londra, Victoria and Albert Museum, inv. E.5068-1908 e E.5067-1908.
A questo punto, c’è da chiedersi se l’esecutore della coppia di cassettoni, di cui uno raffigurato in Figura 1, si sia ispirato alle tempere di Michelangelo Maestri, consentendoci eventualmente di datare i mobili alla fine del XVIII secolo, oppure alle incisioni di Tommaso Piroli, spostando la datazione degli stessi post 1803.
Venere conduce Cupido da Adone morente
Su un medaglione che compare al centro della fronte di diversi cassettoni neoclassici lombardi, si vede una figura femminile che tiene una freccia nella mano destra, mentre si fa condurre da un putto alato, armato di arco, che la tiene per l’altra mano [Figure 8 e 8bis].
Figure 8 e 8bis. Bottega lombarda, cassettone neoclassico intarsiato, Cambi 5 dicembre 2012 n. 507 (la figura 8bis è tratta da un altro mobile).
Diversamente da sopra, non siamo stati capaci di individuare la fonte da cui questa scena è tratta. Per quanto riguarda il suo significato, abbiamo ipotizzato che essa rappresenti Venere condotta per mano da Cupido, così come raffigurata, ad esempio, in un dipinto di Jacopo Zanguidi detto Bertoja (1544-1574) che si trova al Louvre, in cui, oltre a Venere e a Cupido, si vede Adone morto [Figura 9].
Figure 9. Jacopo Zanguidi detto Bertoja, Venere condotta da Cupido verso Adone morto, olio su tavola cm. 120 x 92, Parigi, Museo del Louvre, inv. n. RF 1995.
Nel medaglione intarsiato si noti la mano sinistra di Venere che indica con il dito, facendo lo stesso gesto della Venere dipinta; il fatto che Cupido la afferri rafforza l’idea che sia lui a guidare la dea, mentre nel dipinto la situazione è meno evidente (nonostante, secondo il sito del Ministero della Cultura francese, il titolo sia proprio Vénus conduite par l’Amour vers Adonis mort).
Pensiamo che la scena parzialmente raffigurata nel medaglione intarsiato sia questa, nonostante Adone non compaia e via sia un’incongruenza: Venere regge un’inspiegabile freccia che la potrebbe far confondere con Diana (nota 5).
Apollo citaredo o Santa Lucia
Prendiamo ora in esame un cassettone che, per il decoro delle lesene e altri dettagli, può essere messo in relazione con quello di Figura 1, al punto da ritenere che siano stati prodotti dalla stessa bottega [Figura 10, nota 6].
Figura 10. Bottega lombarda (GBM?), cassettone neoclassico intarsiato, Cambi 18 novembre 2014 n. 144.
Il medaglione centrale mostra un “personaggio” che suona la cetra affiancato da un putto alato [Figura 10bis].
Figura 10bis. Particolare del cassettone di Figura 10.
Si sarebbe tentati di identificare senza remore il personaggio che suon l’arpa con Apollo, in perfetta sintonia con il gusto del tempo. Troviamo infatti stringenti riferimenti in alcuni lavori di Andrea Appiani (1754-1817) uno dei massimi esponenti della stagione neoclassica lombarda. Ci si riferisce al celebre disegno Apollo citaredo fra Venere con Amore e le tre Grazie che si conserva presso la Galleria d’Arte Moderna di Milano [Figura 11].
Figura 11. Andrea Appiani, Apollo citaredo fra Venere con Amore e le tre Grazie, carboncino e pastello su tela cm. 73 x 147, Milano, Galleria d’Arte Moderna, inv. n. 1618.
Con l’occasione, pubblichiamo un particolare di un raro disegno a inchiostro dello stesso Appiani, apparso sul mercato antiquario [Figura 12].
Figura 12. Andrea Appiani, Apollo citaredo e Cupido (particolare), disegno a inchiostro su carta (complessivamente) cm. 26,3 x 32,5, mercato antiquario.
Tuttavia, osservando meglio il medaglione intarsiato, sembra di scorgere dei tratti del viso decisamente femminili. Ipotizziamo quindi che il personaggio raffigurato non sia Apollo, bensì possa trattarsi di Santa Cecilia, che vediamo intenta a suonare l’arpa, assistita da un angelo (pressoché onnipresente nelle raffigurazioni della santa), in un’incisione tratta da un dipinto di Pierre Mignard (1612-1695) conservato al Louvre [Figura 13].
Figura 13. François Chéreau (da Mignaud), Santa Cecilia ha cantato le lodi del vero Dio al suono degli strumenti musicali …, incisione cm. 36,2 x 23,8 (foglio), ubicazione ignota.
Si potrebbe obiettare che la santa suoni l’arpa e non una cetra, anche se sono note le sue doti di polistrumentista, come testimoniano sia i vari strumenti che compaiono nell’immagine, sia altre sue raffigurazioni (nota 7); i riferimenti iconografici proposti sono di epoca barocca, lontani dal clima culturale neoclassico. Abbiamo però reperito una fonte letteraria di un certo interesse, un sonetto di Angelo Mazza (1741-1817), poeta minore vissuto in pieno neoclassicismo, intitolato Per Santa Cecilia, che inizia così: “Tutto l’orbe è armonia; l’Olimpo è cetra, che del fabbro divin le lodi suona …”; sembra un commento poetico all’incisione di Figura 13 (nota 8).
Giudizio di Paride
Al termine di questa terza parte (non se ne escludono prossime altre) vorremmo inserire una riflessione che speriamo non infici il lavoro svolto e quello da sviluppare.
Come abbiamo già accennato in altre occasioni, non possiamo escludere che gli ebanisti potessero fare un uso “disinvolto” delle fonti iconografiche a loro disposizione.
Ne è dimostrazione un tavolino di fattura molto semplice che reca al centro del piano un medaglione intarsiato. In esso si vede, sulla sinistra, un uomo seduto, presumibilmente un pastore come dimostra il bastone e il cane accucciato ai suoi piedi e, sulla destra, due figure femminili seminude [Figura 14 e 14bis].
Figura 14. Bottega lombarda, tavolino neoclassico intarsiato, già collezione privata Cremona.
Figura 14bis. Particolare del tavolo di Figura 14.
La presenza del pastore e il fatto che una delle due donne giochi con due colombe, basta a identificare quest’ultima come Venere (si veda lo stesso attributo delle colombe nel dipinto di Figura 9) e la scena come il Giudizio di Paride, anche se mutilata dall’assenza della terza dea che troviamo in tutte le raffigurazioni dello stesso soggetto. C’è da chiedersi cosa abbia indotto l’ignoto intarsiatore a una resa parziale della famosa vicenda in cui sono tre le dee che si sottopongono al giudizio del pastore Paride su chi fosse, tra di loro, la più bella. Lo spazio non mancava: forse disponeva, come modello, di un’incisione strappata oppure riteneva di non essere stato pagato abbastanza!
NOTE
[1] Per i precedenti, si rimanda agli articoli Scene e personaggi intarsiati sui mobili neoclassici lombardi. Parte I [Leggi] e parte II [Leggi].
[2] Presso la casa d’aste Il Ponte di Milano sono stati proposti due lotto: il lotto 16 comprendente quattro tempere dal titolo Anfitrite, Trionfo di Sileno, Unione d’Amore e Amor Pazzo e il lotto 17 con altre quattro tempere, ossia Europa rapita, Cerere, Amor crudele e Amor veloce.
[3] Queste e parte delle notizie che seguono su Michelangelo Maestri sono tratte da AAVV, Il fascino dell’antico. Dall’Accademia ercolanense a Gio Ponti passando per Antonio Canova, Galleria Carlo Rizzarda, Quaderno n. 5, Feltre (Bl), 2014 p. 171, catalogo della mostra organizzata dal Comune di Feltre nel 2014 dove non sono state esposte le tempere passate in asta dal Ponte. Nel testo si parla di “incisioni del 1805 pubblicate da Francesco Piranesi e Tommaso Piroli”.
[4] Francesco (1758-1810) e Pietro (1768-?) Piranesi, figli del noto incisore Giovan Battista, incisori a loro volta, ma anche editori, si trasferirono a Parigi nel 1799 dopo il fallimento della Repubblica Romana di impronta napoleonica. Sull’attività editoriale dei fratelli Piranesi, con particolare riferimento all’esperienza francese, si veda: Valeria Mirra, Un’impresa culturale e commerciale: la Calcografia Piranesi da Roma a Parigi (1799-1810), tesi di laurea, Università degli Studi Roma tre, A.A. 2010-2011.
[5] Il dipinto del Bertoja proviene da un’asta tenutasi a Milano nel 1916 presso la Galleria Geri, come scoperto da Olga Piccolo che ne parla in un libro uscito di recente [Leggi].
[6] Si rimanda all’articolo Mobili neoclassici con fauni, ninfe e grifoni. GBM? (dicembre 1019) [Leggi]( dicembre 2019) (ivi Figura 3).
[7] Orazio Gentileschi (1563-1639), con la collaborazione di Giovanni Lanfranco (1582-1647), dipinge una Santa Cecilia che suona la spinetta (Urbino, Galleria Nazionale delle Marche) e, da solo, una Santa Cecilia che suon l’organo, (Washington, National Gallery, collezione Kress). Carlo Saraceni (1579-1620) raffigura la santa mentre suona un liuto (Roma, Galleria palazzo Barberini), ma gli esempi si possono moltiplicare.
[8] Il sonetto Per Santa Cecilia è stato pubblicato in: Autori vari (a cura di Alessandro Donati, Poeti minori del Settecento, Bari, Laterza, 1913, p. 97 [Vedi].
Gennaio 2024
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