Scultura in marmo di Saturno che “rapisce” Giovinezza

della Redazione di Antiqua

Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia!
Lorenzo de Medici, Trionfo di Bacco e Arianna

Sembra proprio che la giovane raffigurata in questa piccola scultura in marmo voglia proprio sottrarsi all’abbraccio all’attempato uomo alato che cerca di ghermirla [Figura 1, nota 1].

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Figura 1. Ignoto scultore, Il Tempo, Giovinezza e Cibele, marmo, altezza cm. 38 (x 18 di base).

La scultura è inedita e non è stata ancora debitamente studiata, tuttavia la ricerca iconografica, che è il tema del presente contributo, ha consentito di individuare un gruppo pressoché identico, anche nelle dimensioni, eseguito in biscuit e passato in asta presso Cambi nel 2014 con il titolo Saturno che rapisce Cibele [Figura 2].

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Figura 2. Saturno che rapisce Cibele, biscuit, altezza cm. 40 circa, XVIII secolo, Cambi 15 aprile 2014 n. 96.

È plausibile identificare l’uomo alato, barbuto e con una calvizie incipiente, segno di un’età più che matura, con Saturno, ossia il Crono (Kronos) greco, il più giovane dei Titani e signore del tempo, qui raffigurato da Simon Hurtrelle (1648-1724) mentre divora il proprio figlio [Figura 3].
La figura accovacciata che trattiene a stento un leone altra non può essere che Cibele, di cui l’animale è un attributo, raffigurata con la testa turrita [Figura 4].

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Figura 3. Simon Hurtrelle (1648-1724), Crono divora un figlio, 1699, marmo, Parigi, Museo del Louvre.

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Figura 4. Cibele, marmo, arte romana, III secolo d.C., con dedica al senatore Virius Marcarianus, Napoli, Museo archeologico nazionale.

Cibele, divinità anatolica venerata come Grande Madre, era identificata con Rea, divinità greca della Terra, sposa di Crono (Saturno) di cui era anche la sorella e madre di Zeus e di altre divinità (nota 2).
Ci si domanda allora chi sia il terzo personaggio, ossia la giovane che si sbraccia, dal momento che la Mitologia, che pure è costellata di rapimenti, non narra del rapimento di alcuna fanciulla da parte di Saturno, tanto meno di Cibele che comunque, come visto, è sicuramente la persona ai piedi di Saturno.
Nemmeno, credo, si possa pensare a un’allusione ai saturnali, feste indette dai romani in onore di Saturno, che iniziavano il 17 dicembre e si trasformavano spesso in orge sfrenate senza distinzione di classe sociale.
Allora perché il biscuit è intitolato Saturno che rapisce Cibele? Una certa faciloneria nel redigere la didascalia nel catalogo d’asta oppure un’ipotesi di sdoppiamento della personalità?
Abbiamo provato a indagare.
Entrambi i gruppi fanno presumibilmente riferimento a una scultura in marmo di grandi dimensioni eseguita da Thomas Regnaudin (1622-1766) per i giardini di Versailles sulla base di un progetto di Charles Le Brun, architetto di Luigi XIV che comprendeva altre statue allegoriche [Figura 5].
La scultura di Regnaudin fu terminata nel 1687 e collocata nel parterre dell’Orangerie a Versailles, per essere poi spostata nel 1716 nei giardini della Tuileries e infine portata nel 1972 all’esterno del Louvre dove si trova attualmente (nota 3).
Quest’opera rappresenta, in base al progetto di Lebrun, un’allegoria della terra di cui Cibele è matrona ed è sempre stata tramandata con il titolo Saturno che rapisce Cibele a dispetto del fatto che, come evidenziato sopra, questo rapimento non è mai avvenuto (nota 4).

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Figura 5. Thomas Regnaudin Saturno rapisce Cibele, 1685-1687, marmo, Parigi, Museo del Louvre.

Osservando attentamente la scultura, si nota che il personaggio femminile accovacciato sembra non abbia la testa turrita come nelle sue corrispondenti delle Figure 1 e 2 [Figura 5 bis]. Inoltre, la didascalia ufficiale del museo ne parla come di una ninfa [Figura 6].

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Figura 5 bis. Particolare della Figura 5.

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Figura 6. Didascalia ufficiale della scultura di Figura 5.

Rinunciando a qualunque pretesa filologica, accettiamo l’idea che la giovane “rapita” sia Cibele e questo spiegherebbe, se non altro, l’espressione affranta, comune a tutti e tre i gruppi fin qui considerati, del leone che la “ninfa” tenta di consolare.
A questo punto, non possiamo che pensare che gli autori della scultura di Figura 1 e del biscuit di Figura 2, opere in stretta relazione formale, forse suggestionati dal titolo della scultura “di riferimento” e dalla sua fama, abbiano deciso di esplicitare la presenza di Cibele nella figura accovacciata creando il curioso sdoppiamento di cui si diceva sopra.
Prima di arrenderci a questa evidenza, avevamo formulato alcune ipotesi sull’identità della giovane rapita.
Una prima ipotesi è che la giovane sia la Verità, con la quale il Tempo è stato messo assai spesso in relazione; si pensi alle tante versioni de La Verità svelata dal Tempo sia in pittura che in scultura (nota 5).
Un’iconografia vicina a quella della scultura in discorso è rappresentata da Il Tempo che sottrae la Verità all’Invidia e alla Discordia, che qui mostriamo nella versione di Nicolas Poussin (1594-1665) [Figura 7, nota 6] in cui la giovane allarga le braccia con aria rassegnata.

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Figura 7. Nicolas Poussin, Il Tempo che sottrae la Verità all’Invidia e alla Discordia, 1641, dipinto su tela, diametro, cm. 297, Parigi, Museo del Louvre.

Per quanto riguarda il soggetto, anche di questo dipinto viene fornita una diversa è più convincente spiegazione a proposito di una sua versione eseguita ad affresco da un pittore anonimo per Palazzo Delfico a Teramo entro la prima metà del XIX secolo [Figura 8]:
Il personaggio maschile è alato e coperto di un corto mantello che lascia scoperto tutta la parte superiore del corpo, di un verde intenso a sottolineare il contrasto con il corpo diafano della fanciulla rapita che allarga le braccia a trovare un equilibrio nella vertigine del volo” (nota 7).

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Figura 8. Anonimo, Tempo che rapisce Giovinezza sottraendola alla Morte e all’Invidia, affresco, prima metà del XIX secolo, Teramo, Palazzo Dèlfico.

A parte l’identificazione con la Morte (e non con la Discordia) della figura “anguicrinita” simile a Medusa, la ragazza “rapita” sembra non essere quindi la Verità, bensì la Giovinezza.
Ed era questa l’ipotesi più plausibile che avevamo formulato a proposito della scultura di Figura 1, ossia che il “rapimento” avesse intenti salvifici nei confronti della giovane-Giovinezza e che la presenza di Cibele avesse solo il senso di confermare l’identità del personaggio maschile che altrimenti avrebbe potuto essere confuso con altri.
Ci si riferisce alla possibilità, evocata anche nell’articolo della Di Felice, che la scena possa essere confusa con il rapimento di Orizia, figlia del re ateniese Eretteo, da parte di Borea, re dei venti nordici (nota 8).
Mostriamo un gruppo in porcellana di Doccia [Figura 9] in cui Orizia si dibatte assumendo con le braccia aperte una posizione simile a quella della Verità di Poussin (vedi ancora Figura 7).

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Figura 9. Manifattura di Doccia, Borea e Orizia, porcellana, 1745 circa (foto wikimedia).

La figura più convenzionale di Borea però lo vede alato, molto più simile a Saturno, così come lo raffigura il veneziano Giovanni Antonio Pellegrini (1675-1741), il quale con il dipinto intitolato Borée enlevant Orithye ci riporta alla stessa epoca e allo stesso Museo [Figura 10].

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Figura 10. Giovanni Antonio Pellegrini, Borea e Orizia, 1720, Parigi, Museo del Louvre (foto wikimedia).

Se volessimo trovare una differenza che ci consenta di distinguere il rapimento di Cibele da quello di Orizia, potremmo dire che mentre Borea solleva Orizia dall’alto per trascinarla nell’elemento a lui congegnale, ossi l’aria, Saturno, con i piedi ben piantati a terra, effettua su Cibele una presa che ricorda il sollevamento en combre del balletto classico.

NOTE

[1] La scultura (cm. 38 x 18) è appartenuta al collezionista milanese Giorgio Cavallari, il quale ha ceduto la sua raccolta di opere d’arte legate al celebre soprano Giuditta Pasta al museo di Saronno a lei intitolato (M34 rappresenta un numero di inventario).

[2] Il modo con cui le divinità greche e romane vengono assimilate crea una confusione, anche terminologica, nella quale non è facile districarsi. Ad esempio, Cibele, sempre nella mitologia greca, è assimilata a Rea moglie di Crono, ma non risulta che Saturno, il Crono dei romani, fosse sposato a Cibele, semmai a Opi, dea del raccolto, a sua volta però considerata l’equivalente di Rea e di Cibele. Inoltre, il leone è un animale sacro alla sola Cibele, mentre non compare mai nell’iconografia di Opi e Rea.

[3] Ringrazio Rodolfo Furneri per le informazioni fornitemi direttamente (16.11.2020) e rimando al suo sito www.miti3000.eu.

[4] In rete la si trova anche con il titolo Saturno eleva Cibele, ma evidentemente si tratta di una cattiva traduzione di Saturn enlèvant Cibele laddove enlèvement che significa rapimento.

[5] In questo sito: La verità svelata dal Tempo di Francesco Carradori (giugno 2020) [Leggi].

[6] Il bambino alato con il serpente che si morde la coda (simbolo dell’infinito) e il falcetto è stato interpretato come lo stesso Saturno che evirò il padre Urano per evitare che procreasse, quindi la figura del vecchio alato diventerebbe “anche” la raffigurazione di Urano. In alternativa, potrebbe semplicemente trattarsi di un putto alato che regge due attributi propri di Saturno.

[7] Paola Di Felice, Cultura archeologica e mitologia negli apparati decorativi di Palazzo Dèlfico, in AAVV, I luoghi della storia a Teramo. Il Palazzo Dèlfico,  Edigrafital, Teramo 2004 [Leggi].
Si specifica che i personaggi della Morte e dell’Invidia sono rappresentati secondo le indicazioni del Ripa (per la Morte, C. Ripa, Iconologia, a cura di P. Buscaroli, Torino 1986, vol. I, p. 226; per l’Invidia, C. Ripa, op. cit., vol. II pp. 67-68).

[8] Il gruppo di Saturno e Cibele del Louvre è abbinato, con altri due a formare un’allegoria dei quattro elementi, proprio a quello di Borea che rapisce Orizia, eseguito da Gaspard Marsy (1624-1681) e Anselme Flamen (1647-1717).

Gennaio 2021

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