Stipo ebanizzato con placchette firmate G.B. Monza

di Andrea Bardelli

Alla Collezione d’Arte Cagnola di Gazzada (Va) appartiene uno stipo monetiere in legno ebanizzato [Figura 1] con al centro una scultura in bronzo dorato collocata in apposita nicchia.
I tiretti sono decorati con placchette in metallo dorato, recanti varie sigle riconducibili a G.B. (Giovanni Battista ?) Monza e due scritte: VIVA e UT DICANT.

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Figura 1. Stipo in legno ebanizzato con placchette in metallo firmate G.B.Monza, Lombardia, XVII secolo, Gazzada (Va), Collezione Cagnola, inv. MO.11.

Pur avendo avviato ricerche in proposito, non mi è stato ancora possibile reperire notizie su Giovanni Battista Monza; quasi certamente si tratta di un orefice e quasi altrettanto certamente Monza è un cognome e non indica un luogo. Nel XVI secolo risulta un orefice Agosto Monza, documentato nel 1576; un Agosto Mozzato (quasi certamente si tratta della stessa persona con il cognome storpiato) riveste il ruolo di console dell’Università degli orafi milanesi nel 1575. Nel 1590 un Monza Giannantonio viene incaricato di dorare l’ancona per la pala di Simone Peterzano realizzata da Virgilio del Conte per San Vito al Pasquirolo.
Possiamo quindi pensare che il nostro Giovanni Battista facesse parte di una famiglia di orafi attivi a Milano almeno dalla fine del Cinquecento.
E’ un peccato non poterlo identificare con precisione perché ciò consentirebbe non solo di stabilire l’epoca di questo mobile, ma anche di inquadrare cronologicamente diversi stipi di questo genere, prodotti dalla fine del XV secolo fino a tutto il XVII e oltre. In attesa di esami più approfonditi, daterei il nostro mobile al XVII secolo.
Ciò premesso proviamo a guardare il mobile e trarne il maggior numero possibile di informazioni, soprattutto attraverso l’analisi iconografica.
Il bronzetto collocato nella nicchia al centro della fronte del mobile raffigura Apollo [Figura 2].

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Figura 2. Apollo, bronzetto dorato, particolare della Figura 1.

Tra le sue infinite prerogative, Apollo è dio del sole (di quello estivo, ai cui raggi cocenti inaridisce la vegetazione, da qui la concezione di Apollo, divinità malefica, esecutore di vendette; nella tarda antichità egli soppianta lo stesso Elios quale portatore di luce ed auriga del cocchio solare), dio della salute, condottiero delle Muse e inventore della cetra, dio oracolare e provetto arciere in grado di infliggere con la sua arma terribili pestilenze ai popoli che lo contrariavano.
Apollo viene normalmente raffigurato coronato di alloro, pianta simbolo di vittoria, sotto la quale alcune leggende volevano che il dio fosse nato, e ha come attributi tipici l’arco, la cetra e il tripode sacrificale, simbolo dei suoi poteri profetici.
Per quanto riguarda le placchette, quattro di esse (di cui due sostanzialmente identiche, almeno per quanto riguarda il soggetto principale) raffigurano putti variamente affacendati, con la presenza di animali, all’interno di riserve delimitate da nastri e altre decorazioni di tipo barocco (che compaiono, anche se in modo meno vistoso a contorno di alcune delle altre placchette) [Figure 3, 4 e 5].

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Figura 3, 4 e 5. Placchette, particolare della Figura 1.

Particolarmente legata alle bizzarrie barocche, anche se le figurine sono delineate secondo canoni ancora “rinascimentali”, è la scena del putto in sella a una lumaca [Figura 6]. Il soggetto pare tratto da un affresco della bottega di Raffaello, eseguito per le Logge vaticane [Figura 7].

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Figura 6. Placchetta, particolare della Figura 1.

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Figura 7. Raffaello, affresco (particolare), Logge vaticane.

Due placchette riportano scene di genere: un’osteria e un’orchestrina [Figure 8 e 9], mentre due altre rappresentano scene di caccia: una caccia al cervo e una caccia all’anatra con la barca (queste immagini ricorda vagamente quelle realizzate per la decorazione dei fucili) [Figure 10 e 11].

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Figura 8, 9, 10 e 11. Placchette, particolare della Figura 1.

Da quanto precede si potrebbe dedurre che l’autore delle placchette, il cui disegno si presenta caratterizzato da un vivace realismo, ma invero piuttosto rozzo, si è ispirato a varie fonti, apparentemente senza alcun nesso tra di loro.
Tuttavia, prima di trarre alcune conclusioni, vorrei segnalare un ciclo pittorico non del tutto estraneo a Villa Cagnola.
Si tratta di un ambiente affrescato (camera picta) ospitato al primo piano di Villa Perabò a Varese, inserita nell’area del collegio De Filippi e ospitante la Fondazione Comunitaria del Varesotto. Come è noto, i Perabò sono stati i primi proprietari di Villa Cagnola; l’avrebbero edificata nel XVII secolo, per poi cederla nel 1838 ai Melzi D’Eril che, a loro volta, la cedono a Giuseppe Cagnola nel 1850 .
La villa di Varese è antecedente, edificata da Francesco Perabò tra il 1555 e il 1561 (anno della sua morte), mentre la stanza è stata probabilmente affrescata entro il 1561. Si tratta di un raro ciclo profano di chiara ascendenza nordica, i cui probabili autori del ciclo sono i salisburghesi Bocksberger, attivi anche in Trentino. Tentiamo di stabilire un certo parallelismo tra questi affreschi e le placchette dello stipo che stiamo esaminando.
Le scene popolari sono tratte dalle incisioni di Hans Sebald Beham databili al 1537-39 [Figure 12, 13, 14 e 15].

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Figura 12. Bottega Bocksberger, affreschi, 1561 circa, Varese, Villa Perabò.

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Figure 14. Hans Sebald Beham, incisioni (particolari), 1537-39.

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Figura 13. Bottega Bocksberger, affreschi, 1561 circa, Varese, Villa Perabò.

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Figure 15. Hans Sebald Beham, incisioni (particolari), 1537-39.

Le scene di caccia richiamano invece i dipinti di Lucas Cranach il Vecchio per i signori di Sassonia alla fine degli anni Venti e attorno alla metà degli anni Quaranta del XVI secolo [Figura 16].

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Figura 16. Lucas Cranach il Vecchio, Caccia in onore di Carlo V nel castello di Torgau, 1544, olio su tavola, Madrid, Museo del Prado.

Le cacce rappresentano attività considerate onorevoli e dilettevoli per un nobile in villeggiatura. Questo modello culturale aveva il suo ideologo in Bartolomeo Taegio e nel suo dialogo La Villa del 1559.
Il tema della caccia viene ripreso da numerosi autori; il più celebre di tutti è forse Antonio Tempesta (1555-1630) del quale mostriamo un’incisione [Figura 17] ed è assai probabile che sia proprio alle sue incisioni che abbia guardato l’autore delle placchette.

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Figura 17. Antonio Tempesta, Caccia al cervo, incisione.

Si noti come, all’interno di un ciclo unitario, si trovino scene di soggetto molto diverso, alcune legate al mondo della nobiltà, altre schiettamente popolari, esattamente come nelle nostre placchette.
Forse si intendeva, in un momento storico particolarmente delicato per la Lombardia e non solo, sottolineare una sorta di “contratto sociale” tra nobiltà e propri contadini. E’ stato dato un significato al ciclo di affreschi che andasse oltre una semplice sequenza di piacevolezze legate alla vita di campagna. Volendo coglierne la valenza politica, esso pare testimoniare, dopo l’abdicazione di Carlo V, la preferenza accordata dal patriziato varesino al ramo “tedesco”, piuttosto che a quello “spagnolo”. Il riferimento ideologico è però a un mondo germanico arcaico e un po’ sognante, visto in chiave anticlassicista (contrasto con il classicismo tosco-romano).

Torniamo al nostro stipo e a una sua possibile interpretazione, visto che la lezione degli affreschi di Villa Perabò ci dice che i cicli decorativi, anche se lo possono sembrare, non sono mai dettati dal caso e dall’improvvisazione.
Nel nostro caso, il motivo conduttore dell’intero progetto figurativo dello stipo potrebbe essere quello della caccia (e degli animali), unito al tema della musica.
A parte le placchette esplicitamente legate alla caccia [vedi ancora figure 10 e 11], in tutte le placchette con putti compaiono animali. In una, in particolare, due putti sono alle prese con una gabbietta e alcuni uccelli, uno dei quali con la zampa legata come accade per quelli “da richiamo” impiegati nella caccia [vedi ancora figura 5].
Il legame con l’Apollo del bronzetto potrebbe essere identificato in via indiretta, nel senso che la figura di Apollo spesso si sovrappone da un punto di vista iconografico a quella di Orfeo, altro noto suonatore di cetra, il quale compare spesso attorniato da animali di diversa specie che lo ascoltano suonare e cantare. A questo proposito si può richiamare la placchetta con la scena raffigurante un’orchestrina di paese [vedi ancora figura 9].
I putti che trascinano un carro e quello che cavalca una lumaca [vedi ancora figure 3, 4 e 6] potrebbero rievocare (con qualche forzatura) il ruolo di Apollo come auriga del cocchio solare come veniva raffigurato nella tarda antichità greca.
Due ultime considerazioni in merito alle scritte.
Ut dicant significa Affinché dicano; l’unica spiegazione é che l’artista speri che i posteri parlino di lui, si ricordino. A questo punto, viva potrebbe significare un’espressione di giubilo oppure “che viva”, nel senso che sopravviva, quindi potrebbe coniugarsi con il “si ricordino” di cui sopra.
Possiamo però anche citare i classici, come Cicerone: Dicendo homines ut dicant efficere solere (Cicerone, De oratore, 1,33,149), ossia Di solito, parlando, si impara a parlare, oppure Seneca: Multum….viva vox facit (Seneca, Epistulae, 33,9), ossia Grande è l’efficacia della viva voce.
In questo caso però avrebbero più a che fare con la parola, quindi non sarebbe facile trovare un nesso con Apollo-Orfeo, la caccia e la musica.

Bibliografia
-Nicora Chiara, Guido Cagnola (1861-1954). Collezionista e conoscitore d’arte, Morcelliana, Brescia 1991-1996
-AAVV, La collezione Cagnola. Le arti decorative, Nomos, Busto Arsizio (Va) 1999. p. 131 n.11.
-A.Spiriti (a cura di), Villa Perabò a Varese, Fondazione Comunitaria Varesotto, Varese 2011.

Prima pubblicazione: Antiqua.mi, ottobre 2014

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