Tavola devozionale in ceramica datata 1564
della Redazione di Antiqua
Presso i Musei Civici di Villa Mirabello a Varese si conserva una targa devozionale in terracotta policroma invetriata raffigurante un Cristo in pietà fiancheggiato dalla Madonna e San Giovanni e, ai rispettivi lati, Santa Caterina d’Alessandria e Sant’Antonio abate [Figura 1].
Figura 1. Targa devozionale, ceramica ingobbiata, graffita e invetriata policroma, cm. 31 x 30, Emilia (probabilmente Ferrara) 1564, Varese, Musei Civici.
Più precisamente si tratta di un esemplare di terracotta rossa rivestita di ingobbio (un miscuglio di argilla di colore chiaro stesa allo stato semiliquido), graffita, colorata in verde (ramina), giallo (ferraccia), blu cobalto e manganese e verniciata con uno smalto trasparente a base piombifera prima della cottura.
Alla base si legge: ho . opus . ff . jacobus gerbino a nome de li bocalay de Varexio . 1564 (nota 1).
L’oggetto compare nel catalogo della mostra Un Popolo Una Storia. Segni ed immagini della devozione cristiana nel territorio varesino tenutasi nel 1992 presso i Musei Civici di Varese.
Paola Viotto, autrice della scheda (n. 5.12 p. 61-61, fig. p. 78), sostiene giustamente che “… le targhe in terracotta non sono tipiche dell’alta Lombardia” e aggiunge che “L’iconografia riporta a immagini diffuse soprattutto nella pittura ad affresco del XVI secolo, mentre la scritta fa pensare ad una commissione da parte di una associazione” (nota 2).
Nel 2014, redigendo la scheda per il catalogo dei Musei Civici di Varese (AAVV a cura di D. Cassinelli, Musei Civici di Varese. Catalogo dei dipinti e delle sculture 1500-1959, Comune di Varese, Varese 2014, p. 46-47), Francesca Ricardi stabilisce che la targa potrebbe essere di provenienza emiliano-veneta perché essa trova confronti con alcuni manufatti di produzione emiliana, mentre il motivo del cherubino che compare sulla sommità “risulta invece diffuso in area veneta”.
Come riferimento viene indicata una targa analoga raffigurante una Madonna con Bambino, di “fabbrica emiliana, secolo XVII”, conservata al Museo del Castello Sforzesco di Milano (nota 3).
Altri riferimenti li possiamo trovare in diverse targhe devozionali di area emiliano-romagnola come quella raffigurante la Madonna della Ghiara, nota in vari esemplari [Figura 2], oppure quella raffigurante un’Annunciazione che si conserva a Bologna al Museo Davia Bargellini [Figura 3].
Figura 2. Targa devozionale, ceramica ingobbiata, graffita e invetriata policroma, cm. 38 x 29, Carpi, inizi del XVII secolo, Cambi, asta n. 312 lotto 106.
“L’iconografia ripropone l’immagine della Madonna, in preghiera di fronte al Bambino seduto sopra un cuscino, chiamata in seguito della Ghiara che Giovanni Bianchi detto il Bertone affrescò sul muro di cinta del convento dei Servi di Maria a Reggio Emilia utilizzando il noto disegno di Lelio Orsi, conservato al Museo della Basilica della Ghiara e datato 1569. Tale immagine ha avuto ampia diffusione su tela, carta, avorio e ceramica in tutto il territorio dei Ducati estensi ed anche oltre” (dalla didascalia del catalogo dell’asta). L’attribuzione a bottega carpigiana è indotta dal raffronto con una formella simile che si conserva a Mantova nel Museo di Palazzo Ducale [Vedi].
Figura 3. Targa devozionale, ceramica ingobbiata, graffita e invetriata policroma, cm. 30,3 x 21, Emilia occidentale, seconda metà del XVI secolo (?), Bologna, Museo Davia Bargellini (G. L. Raggi in AAVV, Museo Davia Bargellini, Bologna 1987 p. 196 n. 138).
Di estremo interesse è la scritta in cui “ho” è da intendersi come hoc, “ff” come abbreviazione per fecit fieri, i “bocalay” sono i ceramisti (nota 4) e “Varexio” sta per Varese, come attestano numerosi antichi documenti.
La scritta si deve leggere: quest’opera fece fare Jacopo Gerbino a nome dei ceramisti di Varese (nel) 1564.
Jacopo Gerbino, “forse ceramista anch’egli” come sostiene la Ricardi, agisce quindi in qualità di committente per conto di un’associazione di ceramisti di Varese (nota 5).
I motivi per i quali i ceramisti varesini abbiano fatto eseguire la targa altrove, per farne oggetto di un dono o di un atto di devozione, possono essere diversi. Pensiamo alla notorietà delle targhe emiliane e al riconoscimento della superiorità tecnica dei ceramisti emiliani, oppure a un gemellaggio o uno scambio professionale tra associazioni che praticavano la stessa attività.
La scritta sulla targa dei Musei di Varese è in ogni caso la preziosa testimonianza dell’esistenza a Varese, attorno alla metà del XVI secolo, di un’associazione di produttori di ceramica di cui le cronache non parlano (nota 6).
Torniamo all’iconografia della targa devozionale che Paola Viotto (op. cit.) riconduce alla “pittura ad affresco”. Non si può escludere, ma un riferimento molto preciso si trova in una placca in bronzo [Figura 4] che Francesco Rossi suggerisce, con qualche margine di incertezza, essere di provenienza pavese (AAVV a cura di A. Di Lorenzo e F. Frangi (a cura di), La raccolta Mario Scaglia, Silvana, Milano 2007, p. 74-75 n. 18).
Figura 4. Placca in bronzo, cm. 27,7 x 17,8, Scuola pavese (?), 1520-30, collezione Mario Scaglia.
Dettaglio A della Figura 1
Sono però innegabili i legami, già messi in evidenza dalla critica (nota 7), con una placchetta di evidenti influssi mantegneschi che la precede cronologicamente [Figura 5] e assegnata all’ambiente veneziano di Tullio Lombardo.
Figura 5. Placchetta in bronzo, cm. 11,6 x 10,2, Veneto (ambiente di Tullio Lombardo), fine XV secolo, Milano, Castello Sforzesco, Musei di Arte Applicata, inv. B 504 (già Civiche Raccolte Numismatiche, inv. 49).
Questo riferimento al Veneto si potrebbe incrociare con quanto scritto sopra in merito al cherubino che sovrasta la targa devozionale dei Musei di Varese. Effettivamente, un cherubino compare spesso proprio nella cimasa di numerose placchette di ambito veneto, molte delle quali attribuite all’artefice noto come il Moderno [Figura 6].
Figura 6. Placchetta in bronzo, cm. 17,3 x 11,6, Galeazzo Mondella detto il Moderno, inizi XVI secolo (A. Huber, Un mondo tra le mani. Bronzi e placchette della Collezione Cicognani, Bonomia, Bologna 2012, p. 46 n. 20).
Dettaglio B della Figura 1
Dettaglio della Figura 6
Tutto ciò premesso, potremmo concludere che la targa devozionale in terracotta dei Musei Civici di Varese può essere definita emiliana per sue caratteristiche tecniche con riferimento all’impasto in terra rossa, tipicamente emiliano, e ai colori, mentre è plausibile identificare un’origine veneta nello svolgimento del soggetto raffigurato.
Applicando alla lettera questo rapporto di causa effetto, si potrebbe pensare, con tutte le cautele del caso, di attribuire all’ambito emiliano, piuttosto che a quello pavese, la splendida placca della collezione Scaglia.
A.T.
NOTE
[1]
La scritta è molto chiara, tranne che alla voce “bocalay” che si potrebbe leggere anche bocaley o bocalery senza che cambi con ciò la sua interpretazione.
[2]
La scheda redatta dalla Soprintendenza nel 2009 [Vedi] contiene varie inesattezze tra cui la trascrizione “bosalay” anziché “bocalay”.
[3]
Questa targa non è attualmente esposta nella collezione di ceramiche del Castello Sforzesco di Milano e non è pubblicata nel relativo catalogo dedicato al XVI e XVII secolo (AAVV, Museo d’Arte Applicata. Le ceramiche, vol. I, Electa, Milano 2000).
[4]
Verso la metà del secolo XII, nei documenti milanesi che risalgono a Bernabò Visconti, si parla dei ‘boccalari’ (fabbricanti di ceramiche) e vengono inoltre precisate le misure dei boccali da osteria, ovviamente a garanzia dei consumatori [Leggi .
[5]
Il Dizionario degli artisti bosini di Fernando Cova identifica Giacomo Gerbino come ceramista attribuendogli erroneamente l’esecuzione della targa devozionale di cui stiamo discutendo (F. Cova, Dizionario ( repertorio) dei pittori, scultori, architetti, artigiani bosini, varesotti, varesini nati nell’attuale provincia di Varese dal XII al XIX secolo, Edito in proprio per gli amici, 2009, ad vocem).
[6]
La letteratura in materia si concentra su alcuni importanti centri di produzione di ceramica nel territorio di Varese a partire dal XVIII secolo (R. Ausenda, Maioliche a Cabiaglio nel XVIII secolo, Cabiaglio 1999; R. Ausenda-A. Griffanti, Storia della ceramica nel territorio di Varese dal ‘700 al ‘900, Saronno, Mi 2007; E. Brugnoni-C. Gilardi sabato, La ceramica di Ghirla, 2018). Sempre Francesca Ricardi (op. cit.) riferisce che Costantino Baroni, storico dell’arte e conoscitore del mondo della ceramica, quando ebbe modo di occuparsi di ceramiche varesine, non fece mai riferimento alla formella in questione, pur essendone a conoscenza.
[7]
F. Rossi, Placchette e rilievi di bronzo nell’età di Mantegna, Skira, Milano 2006, p. 79-80 n. 67.
Si ringraziano Serena Contini (Comune di Varese, responsabile ricerca); Sergio Baroni (antiquario), Michele Scapinello (archivista professionale).