Tra piatto da parata e rotella in stile rinascimentale

di Gianni Giancane

È stato sottoposto alla nostra visione, tramite documentazione fotografica inviataci da un gentilissimo lettore, un particolare manufatto in metallo realizzato con la tecnica dello sbalzo e del cesello, la cui tipologia oscillerebbe tra il piatto da parata e la più classica rotella, lo scudo rinascimentale, rimandando pertanto molto indietro nel tempo, più precisamente nel XVI secolo.
Di circa 57 centimetri di diametro e del peso intorno ai due chilogrammi, si presenta con un grosso mascherone centrale adornato da elementi fitomorfi, a frutta, foglie e girali, legato alla tesa da numerose riserve radiali scandite da curvilinei e sinuosi profili.
Anche sul bordo, dal profilo mistilineo e ripartito in tre grandi segmenti, abbondano con opportune alternanze gli stessi elementi vegetali [Figura 1].
Il materiale utilizzato non è ben precisato dal lettore, potrebbe trattarsi di argento o di metallo argentato e soltanto un’analisi tecnica dal vivo fugherebbe ogni dubbio.

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Figura. 1. Il recto dell’oggetto nel suo impatto frontale.

Come in tutti i settori delle arti antiquarie, uno studio corretto dell’opera deve fondare il proprio iter tanto sugli aspetti stilistico-formali quanto su quelli composito-costruttivi.
Per quel che concerne i primi, tutti gli elementi finora descritti rimanderebbero ipoteticamente, come già premesso, a un periodo molto antico, tra il 1500 ed il secolo successivo, quando le espressioni stilistiche manieristiche (che sarebbero successivamente confluite nel barocco) caratterizzavano diverse tipologie di manufatti, dagli arredi lignei alle maioliche, dai bronzi agli argenti.
Tali elementi, tuttavia, furono ampiamente ripresi nel XIX secolo, quando in pieno periodo eclettico la “moda neorinascimentale” li ripropose in tutte le espressioni artistiche del periodo ma in maniera esageratamente ridondante, con frutti e fogliame che imperavano ovunque, spesso integrati da altri stilemi del XVIII secolo e da altri ancora di ispirazione più contemporanea, come probabilmente nel nostro caso (nota 1).
Occorre pertanto esaminare anche le caratteristiche strutturali dell’oggetto, le quali aiutano non poco nella corretta valutazione dell’opera.
L’analisi del verso della rotella (o del piatto che dir si voglia) è infatti foriero di ben altre informazioni [Figura 2].

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Figura 2. Il retro dell’oggetto con il disegno in “negativo”.

L’impressione che se ne trae, infatti, non conduce assolutamente verso l’alta epoca.
La palese freschezza dei tagli del metallo al verso e il modesto spessore della lamina (una rotella, uno scudo, cinquecenteschi sarebbero molto più pesanti e realizzati con diversi metalli insieme, ferro, argento e oro per esempio) spingono verso un’evidente replica del XIX secolo (probabilmente nell’ultimo quarto) e indirizzano verso un oggetto decorativo con stilemi pseudo barocchi, di gusto ottocentesco, ad emulazione di manieristiche espressioni rinascimentali, di analoghe fattezze morfologiche.
Oltretutto le autentiche rotelle antiche, gli scudi, si presentano sempre con cinghie, manici e impugnature al verso (nel nostro totalmente assenti) quali indispensabili elementi di presa, che le rendevano utilizzabili in battaglia a difesa delle parti corporee.

Ipotetica paternità
Un’altra considerazione va apportata a proposito di un’iscrizione presente al verso del piatto sul bordo esterno che recita testualmente: PHILIPPI  *  NIGROLI  *  IAC  * F. * MED.SIS * OPUS * M * D * XXXV * [Figure 3a e 3b].

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Figura 3a. Iscrizione incisa al verso.

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Figura 3b. Maggior dettaglio dell’incisione.

Ora, stando a quanto inciso, l’opera dovrebbe essere stata realizzata da Filippo Negroli (Milano 1510-1579), famosissima e talentuosa figura che tirò fuori autentici capolavori tra scudi, elmi, borgognotte (elmi senza visiera) e armature, esaltando soprattutto l’arte dello sbalzo su manufatti in acciaio che preferiva al ferro. Lavorava nell’officina del padre Gian Giacomo insieme ai fratelli Francesco e Giovan Battista. Tra gli altri potenti del periodo, prestò la sua opera all’Imperatore Carlo V del quale era considerato l’armaiolo di riferimento.
Filippo Negroli autore del nostro? Praticamente impossibile …
Due gli elementi che ci allontanano da tale figura: innanzitutto le opere certificate e sicure del Negroli, presenti soprattutto nei musei, mostrano ben altre caratteristiche, tanto composito-costruttive che stilistico-formali [Figure 4 e 5, nota 2], inoltre la natura della stessa incisione non lascia dubbio alcuno circa un’evidente interpretazione tardiva che non esiterei a definire un falso ottocentesco.

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Figura 4. Filippo Negroli, Scudo di Carlo V con testa di Medusa, acciaio, argento e oro, 1541, Madrid, Real Armeria.

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Fig. 5. Filippo Negroli, Scudo di Carlo V con testa di leone, acciaio, e oro, 1533, Madrid, Real Armeria.

Per quanto riguarda l’incisione, anche in questo caso è importante poterla confrontare con quelle desumibili da importanti documentazioni certificate che ne testimoniano la bontà [Figura 6].

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Figura 6. Firma di Filippo Negroli (Giacomo Filippo, nome completo) sullo Scudo di Carlo V della Figura 5 (fonte: Armi antiche Accademia di San Marciano, Torino 2013, p. 98).

Come si può desumere dal confronto tra le Figure 3, 3b e 6, differente risulta l’impostazione, la grafia, (oggi diremmo il carattere utilizzato), la natura dell’inciso (maldestro nel falso ottocentesco) contro la delicata e definita stesura delle lettere nella rotella cinquecentesca, apposte a bulino.
Inoltre, attraverso vari supporti multimediali ho potuto esaminare diverse firme originali del Negroli su borgognotte, rotelle, armature e in ognuna di esse il nome del nostro Filippo, è spesso associato alla contemporanea presenza di uno o degli altri fratelli, in altre parole della bottega [Figura 7].

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Figura7. Firma di Filippo e della bottega dei Negroli su una borgognotta della “Guarnitura de los Mascarones”, Madrid, Real Armeria (fonte: Armi antiche Accademia di San Marciano, Torino, 2013, p.103).

Per completezza di informazione, si riporta nella successiva figura un’ipotetica, quanto velleitaria, sigla presente nel nostro manufatto, una specie di punzone inciso a mano, ma mai utilizzato da Filippo Negroli che, come abbiamo visto, apponeva per esteso la completa dicitura dei nomi e/o della bottega [Figura 8].

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Figura 8. Punzone presente sull’oggetto in esame.

Tale punzone era in realtà il primitivo segno distintivo della dinastia, istituito per la prima volta dal fondatore Giovanni de Barinis detto Negroli nella seconda metà del XV secolo, utilizzato con diverse varianti da suo figlio Domenico e da un nipote, Francesco, probabilmente fino agli inizi del XVI secolo (nota 3).

Considerazioni di riepilogo
Sulla base di quanto discusso, ritengo l’oggetto in esame ascrivibile, non ad una rotella, ma alla tipologia dei cosiddetti piatti da parata, anche se con molte riserve, non esprimendone pienamente gli stilemi essenziali per poterlo annoverare neppure tra quest’ultime opere.
Ne consegue, in definitiva, un manufatto esclusivamente decorativo, realizzato nel tardo Ottocento non con dichiarato intento d’emulazione, di copia dall’antico, bensì con scopi probabilmente meno nobili, comunque di dubbie finalità, vista la presenza di una firma, tra l’altro al verso e non al recto, di certo non pertinente.

NOTE

[1] A ben guardare, infatti, gli elementi fitomorfi sono integrati dai setti curvilinei che ricordano i motivi rocaille dello stile Luigi XV, ma anche gli snervanti colpi di frusta dell’incipiente Liberty.

[2] Relativamente ai due scudi appena presentati, si rimanda per testo e immagini a: Stuart W. Pyhrr e Jose-A. Godoy, Armatura eroica del Rinascimento italiano, New York, The Metropolitan Museum of Art, 1998.

[3] Per una più approfondita conoscenza dei vari rami dei Negroli, che prima di Filippo, pronipote del fondatore Giovanni de Barinis, si tramandarono l’attività armorara, si rimanda al già citato testo: Armi antiche Accademia di San Marciano, Torino 2013, con particolar riferimento alle pp. 90-93.

Settembre 2023

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