Un cassone veronese in Umbria
di Andrea Bardelli
Già in altre occasioni ci siamo occupati di mobili “spaesati” ossia rilevati in un certo territorio, ma attendibilmente appartenenti a un diverso ambito culturale (nota 1).
Segnaliamo un altro caso, quello di una cassa in noce, parzialmente lastronata in radica di noce e intarsiata in acero con elementi fitomorfi [Figura 1], facente parte degli arredi di Palazzo dei Consoli a Gubbio, che la letteratura ha attribuito in diverse occasioni a bottega umbra della seconda metà del XV secolo (nota 2).
Figura 1. Cassa, cm. 55 x 114 x 51, Veneto (?), XVII secolo, Gubbio, Palazzo dei Consoli (Fuccella 2005, p. 68 n. 31).
Una certa consuetudine con la mobilia veneta induce a ritenere che la cassa sia veneta e a opinare sulla datazione anche se, in effetti, l’impianto del mobile è molto arcaico e ricorda gli arredi rinascimentali.
Tuttavia, prima di trarre conclusioni affrettate, produciamoci in un excursus sui cassoni intarsiati di provenienza veneta che vengono, in genere datati, al XVII secolo.
Il primo ad essere preso in esame è un cassone pubblicato da Clelia Alberici nel suo volume sul mobile veneto [Figura 2] che costituisce una versione “raddoppiata” della cassa di Figura 1 (Alberici 1980, p. 114 n. 148).
Figura 2. Cassone intarsiato, Venezia, inizi del XVII secolo, collezione privata (Alberici 1980, p. 114 n. 148).
Come si può notare, a parte i piedi, di cui la professoressa Alberici scrive: “formati da due dadi che affiancano una testina femminile con acconciatura, motivo già in uso nel XVI secolo”, il decoro è assai simile: una cartella riquadrata da un nastro bicolore con un elemento ottagonale a centro e quattro “cuori” sugli angoli, intarsiati con motivi vegetali stilizzati; gli stessi motivi sono ripresi all’interno delle riserve ogivali disposte in verticale sulle paraste.
L’attribuzione a Venezia si giustifica per la ricchezza del mobile enfatizzata dalla forma scultorea dei piedi, ma anche in base a una certa tendenza della letteratura di qualche decennio fa a nobilitare i pezzi migliori attribuendoli al capoluogo.
Il prosieguo degli studi e la maggiore attenzione dedicata progressivamente al mobile provinciale ha fatto emergere Verona come il principale centro di diffusione di questa tipologia di mobili.
Clara Santini ne pubblica alcuni nel secondo volume dedicato ai mobili veneti (Santini 2000).
Il primo cassone, seppur privo della riquadratura, mostra lo stesso tipo di decoro simmetrico a fitti racemi stilizzati. I tre piedi sono diversi, anche se simili, da quelli che abbiamo appena osservato nel cassone di Figura 2; vengono spesso definiti “a doppio arco” e risultano molto diffusi nell’ebanisteria veronese di quest’epoca [Figura 3].
Figura 3. Cassone intarsiato, Verona, seconda metà del XVII secolo, collezione privata (Santini 2000, p. 26 n. 34).
Troviamo alcuni esempi di questi cassoni anche sul mercato, come questo dove ricompare la riquadratura che contiene l’ottagono [Figura 4] oppure questo.
Figura 4. Cassone intarsiato, Verona, seconda metà del XVII secolo, mercato antiquario.
La maggior parte di questi mobili è attribuita all’area veronese, anche se dobbiamo segnalare alcune eccezioni: Tito Miotti, ad esempio, nei suoi volumi sul mobile friulano esempio (Miotti 1970 p. 42 n. 38 e Miotti 1990 p. 106 n. 67), considera friulano, datandolo al XVI secolo, un cassone dello stesso tipo conservato nel castello di Colloredo di Monte Albano (Ud). Come la cassa di Figura 1, il cassone non ha dei veri e propri piedi, ma poggia su una fascia a gradini, aggettante in coincidenza delle paraste [Figura 5].
Figura 5. Cassone intarsiato, Veneto (Verona?), XVII secolo, castello Colloredo di Monte Albano, Ud (Miotti 1970 p. 42 n. 38).
Un secondo cassone pubblicato dalla Santini come veronese è abbastanza simile ai precedenti (in particolare a quelli delle Figure 3 e 4) per il tipo di piede e di intarsio, anche se all’ottagono al centro della cartella si sostituisce un rombo che interseca un rettangolo (a formare una sorta di stella di Davide), con al centro un motivo, sempre stilizzato, in cui sembra, tuttavia, di poter riconoscere la silhouette di una figura e una fontana [Figura 6].
Figura 6. Cassone intarsiato, Verona, seconda metà del XVII secolo, collezione privata (Santini 2000, p. 26 n. 35).
Nel successivo cassone [Figura 7], al centro delle specchiature ritroviamo gli ottagoni privi di riquadrature che abbiamo già incontrato nell’esemplare di Figura 3, e i decori fitomorfi si popolano di figure, in questo caso di cavalieri, che compaiono all’interno sia degli ottagoni, sia dei “cuori” disposti sugli angoli.
I piedi, quasi certamente, non sono originali e sostituiscono quelli più tradizionali a “doppio arco”, così come la mancanza della dentellatura sotto il bordo anteriore del piano si deve imputare a usura o a una perdita.
Figura 7. Cassone intarsiato, Verona, seconda metà del XVII secolo, Finarte ottobre 1988 n. 71 (ivi classificato come Italia centrale).
Un terzo cassettone, sempre pubblicato dalla Santini, conserva l’impianto fondato su due specchiature intervallate da tre paraste impostate su piedi “a doppio arco”, in questo caso collegati da una “bavaglia” intagliata [Figura 8, nota 3].
Tuttavia, si discosta dai precedenti per il medaglione intarsiato al centro della specchiatura, che sostituisce l’ottagono, per la scomparsa dei “cuori”, ma anche per il tipo di intarsio dove il calligrafismo cede il passo a un certo naturalismo (già evidenziato con riferimento, soprattutto al cassone precedente): all’interno del decoro floreale sulle paraste si cela una silhouette e, sui medaglio, compare un motivo che possiamo considerare tipico, ossia una coppia di uccelli del paradiso.
Figura 8. Cassone intarsiato, Verona, seconda metà del XVII secolo, collezione privata (Santini 2000, p. 27 n. 36).
A questa configurazione si conformano sostanzialmente altri esemplari come i due che seguono, dove, agli angoli della specchiatura compaiono quattro spicchi che si sostituiscono ai “cuori” (come, del resto, anche nel cassone della nota 3, Figura A) [Figure 9 e 10].
Figura 9. Cassone intarsiato, Verona, seconda metà del XVII secolo, collezione privata ferrarese (già archivio Edimarketing).
Figura 10. Cassone intarsiato, Verona, seconda metà del XVII secolo, mercato antiquario (classificato come lombardo).
Possiamo quindi concludere che questi cassoni si possono considerare veneti, più specificatamente veronesi, sebbene alcuni esemplari possano essere stati prodotti in ambiti limitrofi come Trento o Mantova (nota 4).
Appare quindi arduo sostenere una provenienza eugubina per la cassa di Figura 1 (nota 5).
Facciamo notare che essa presenta, sotto il bordo anteriore del piano, una sequenza di dentelli diversa da quella riscontrabile nei cassoni esaminati, ma che trova riscontro in un cassettone con lo stesso tipo di intarsio [Figura 11, nota 6].
Figura 11. Cassettone intarsiato, Veneto o Bassa Lombarda, seconda metà del XVII secolo, Semenzato novembre 1998 n. 700 (ivi classificato come emiliano).
Su questa tipologia di cassettoni intarsiati, considerati talvolta veneti, talvolta lombardi, ci intratterremo in una prossima occasione.
NOTE
[1] Si veda, ad esempio, l’articolo Stipo calabrese? No è genovese. E se fosse spagnolo? (gennaio 2022) [Leggi].
[2] Così Giuseppe Cantelli: “Di uno stile che può essere considerato più propriamente umbro sono i cassoni nuziali, decorati a tarsia, con dei motivi così particolari che si protrarranno a lungo nell’arte lignea di questa regione …” (Cantelli 1973, p. 8, ill. p. 42 n. 6), ripreso in Antonia Fuccella (Fuccella 2005, p. 68 nn. 31-32). Mirko Santanicchia, invece, non include la cassa nel suo Il mobile in Umbria. Aspetti storici, artistici, tecnici e produttivi dal medioevo al primo Novecento, uscito nel 2013, perché non umbra e perché ininfluente ai fini dello sviluppo della produzione eugubina, diversamente da altri esemplari veneti e friulani di cui egli tratta.
[3] Siamo tentati di sfatare definitivamente il luogo comune secondo il quale la bavaglia intagliata, definita talvolta “mantovana”, contraddistingua i cassoni eseguiti nel Mantovano, sebbene in Palazzo d’Arco a Mantova si conservi proprio un esemplare di questo genere [Figura A].
Figura A. Cassone intarsiato, Verona, seconda metà del XVII secolo, Mantova, palazzo d’Arco.
Tuttavia, è quasi certo che anche a Mantova si fabbricassero cassoni di questo genere, con o senza “bavaglia”, con i medesimi piedi a “doppio arco”. Un elemento, in qualche caso rivelatosi decisivo, al fine di distinguere la mobilia mantovana da quella veronese quando morfologicamente simile, è il legno di struttura: abete in Veneto, pioppo nella Bassa Lombarda.
[4] Integrando quanto sostenuto nella nota precedente, esiste la possibilità – per ora solo un’ipotesi di lavoro – che i cassoni delle Figure 8, 9, 10 e A possano effettivamente essere di provenienza mantovana.
[5] A proposito delle circostanze che possano aver condotto a Gubbio alcuni mobili veneti, Mirko Santanicchia fa riferimento alle “… rotte commerciali veneziane che transitavano anche dai porti di Fano e Pesaro verso l’interno” (Santanicchia 2013, p. 103).
[6] Clara Santini attribuisce un canterano del tutto simile con piedi pressoché identici all’area alto trevigiana-bellunese (Santini 1999, p. 92 n. 178). A conferma della difficoltà di operare classificazioni certe, Graziano Manni definisce “a lunule” la stessa sequenza di dentelli e l’attribuisce all’ambito mantovano (Manni 1994 p. 31 n. 25) e definisce genericamente di area padana un piccolo cassettone con un piede simile (Manni 1994 p. 31 n. 26).
Bibliografia citata
T. Miotti, Il mobile friulano, Gorlich, Milano 1970.
G. Cantelli, Il mobile umbro, Gorlich, Milano 1973.
C. Alberici, Il mobile veneto, Electa, Milano 1980.
T. Miotti, Nobiltà del mobile friulano, Udine 1990.
G. Manni, Antichi arredi in area padana, Artioli, Modena 1994.
C. Santini, Mille mobili veneti I (Vicenza, Treviso, Belluno), Artioli, Modena 1999.
C. Santini, Mille mobili veneti II (Verona, Padova, Rovigo), Artioli, Modena 2000.
A. Fuccella, Mobili umbri, Editrice La Rocca, Marsciano (Pg) 2005.
M. Santanicchia, Il mobile in Umbria. Aspetti storici, artistici, tecnici e produttivi dal medioevo al primo Novecento, Litograf, Cerbara (Pg) 2013.
Ringrazio Francesco Mariucci e Mirko Santanicchia, il quale, relativamente alla cassa di Figura 1, mi conferma le conclusioni sostenute in questo articolo.
Giugno 2022
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