Un marmo lombardo del Rinascimento e qualche precisazione sulla scultura lapidea a Brescia tra Quattro e Cinquecento. Terza e ultima parte.
di Vito Zani
La presente pagina è la continuazione di una già postata su Antiqua (nota 1), nella quale sono state discusse le considerazioni su Gasparo Cairano e la scultura del Rinascimento a Brescia espresse da Marco Tanzi in una scheda su un catalogo d’asta del 2011 (nota 2), in buona parte incentrate sulla contestazione di numerose attribuzioni all’artista da me formulate (nota 3).
Quest’ultima parte sottoporrà quanto discusso a una diretta verifica visiva delle opere, attraverso confronti tra quelle documentate di Gasparo Cairano e quelle la cui attribuzione viene posta in questione da Tanzi.
Nel vivo delle opere
Seguendo un approssimabile ordine cronologico, si può cominciare con la statua della Santa della Fondazione Cavallini Sgarbi [Figura 1]. La sua composizione, sia nel tipo di postura, sia nel panneggio, mi pare evidenzi un’inequivocabile dipendenza dalle opere d’esordio di Gasparo Cairano, ossia gli Apostoli in S. Maria dei Miracoli, pagati il 24 dicembre 1489, uniche statue a piena figura documentate nell’intera carriera dell’artista [Figure 1, 2-3].
Figura 1. Gasparo Cairano (attr.), Santa, Ferrara, Fondazione Cavallini Sgarbi, databile 1493-1495 circa.
Figura 2. Gasparo Cairano e collaboratori, Apostolo, Brescia, S. Maria dei Miracoli, documentato 1489.
Figura 3. Gasparo Cairano e collaboratori, Apostolo, Brescia, S. Maria dei Miracoli, documentato 1489.
Nella Santa, tuttavia, il contegno emotivo e la maggiore compattezza della forma rappresentano elementi di vicinanza già ai primi Cesari della Loggia, pagati il 30 agosto 1493 (nota 4).
Per un artista di pretta cultura lombarda e di formazione antiquaria presumibilmente non molto profonda, il passaggio dal ciclo degli Apostoli a quello dei Cesari significò la transizione da un grezzo figurativismo espressionistico di radice mantegazzesca a un confronto con la ritrattistica antica a tutto tondo, ma anche con almeno un capolavoro moderno, dato che tra i primi Cesari del 1493 si scorge chiara un’interpretazione dell’effigie di Bartolomeo Colleoni dal monumento equestre del Verrocchio. Fu anche il passo cruciale a un nuovo ordine di grandezza, dal convenzionale al colossale, in un generale ripensamento della forma che si concentrò, com’è ovvio, sulle fisionomie di soggetto maschile, e conferì nuovi volti a un’umanità che l’artista aveva già cercato a suo modo di rappresentare il più variata possibile negli Apostoli dei Miracoli.
E’ bene notare che nel corso di questo rivolgimento linguistico, l’artista perfeziona quella sigla ben riconoscibile del disegno degli occhi, che risulta essere una costante delle sue opere documentate, e che ritroviamo nel volto della Santa Cavallini Sgarbi [Figure 4, 5 e 6].
Figura 4. Gasparo Cairano e collaboratori, Apostolo, particolare, Brescia, S. Maria dei Miracoli, documentato 1489.
Figura 5. Gasparo Cairano, Busto di Cesare con le sembianze di Bartolomeo Colleoni, particolare. Brescia, Loggia, documentato 1493.
Figura 6. Gasparo Cairano (attr.), Santa, particolare della Figura 1.
E’ una sigla la cui introduzione a Brescia si deve certamente al ciclo degli Apostoli di Gasparo Cairano, e che, a partire dai Cesari della Loggia, si arricchisce del caratteristico sopracciglio increspato a onde, poi sempre presente nelle figure di grandi dimensioni dell’artista. Dal primo Cinquecento, il motivo comparirà sotto forma semplificata in alcuni marmi di minori maestri locali, sulla scia del successo dei Cesari e del loro autore.
Tornando alla Santa Cavallini Sgarbi, gli stretti legami con le citate opere documentate di Gasparo Cairano, l’alta qualità, e la cronologia presumibilmente non troppo lontana dal 1493, mi sembrano confermare la piena autografia dell’artista, nel momento della sua prima e intensa applicazione allo studio dei Cesari, che ebbe tra i primi effetti l’approdo a una maggiore pienezza delle forme.
In anticipo su tale processo di amplificazione formale si pone l’unica figura femminile documentata dello scultore giunta fino a noi, cioè l’Assunta su una chiave di volta del Duomo vecchio di Brescia, pagatagli nel 1491 (nota 5). La figura è fra l’altro ricoperta da una finitura dipinta e dorata che nasconde in particolar modo il rilievo dei tratti somatici del volto, permettendo comunque di scorgere chiaramente alcuni caratteri disegnativi tipici dell’artista, che sembrano poi gli stessi della Santa Cavallini Sgarbi [Figura 7].
Figura 7. Gasparo Cairano, Maria Assunta, particolare, Brescia Duomo vecchio, documentata 1491.
Il problema della carenza di confronti documentabili per le figure femminili di Gasparo Cairano si pone ovviamente in una molteplicità di casi, tra cui quello di una statua da me attribuitagli, la Madonna in trono col Bambino esposta al Castello Sforzesco di Milano [Figura 8, nota 6], ritenuta da Tanzi di altro autore bresciano, lo stesso della Santa Cavallini Sgarbi.
Figura 8. Gasparo Cairano (attr.), Madonna in trono col Bambino, Milano, Museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco, databile 1495 circa (Copyright Comune di Milano. Tutti i diritti riservati).
Il modellato del volto è infatti molto simile, qui addolcito da uno sguardo ribassato che, non a caso, trova anch’esso un diretto precedente in un altro peculiare modulo del repertorio degli Apostoli dei Miracoli. Anche in questo caso, si assiste allo sviluppo di una formula già ben definita nel primo campionario dell’artista, qui interpretata secondo i medesimi criteri di revisione della forma appena incontrati nella Santa Cavallini Sgarbi. La quale presumibilmente anticipa di qualche anno questa Madonna del Castello di Milano, collocabile approssimativamente verso il 1495, a sua volta in probabile anticipo sulla chiave di volta della Loggia con Sant’Apollonio, documentata al 1497 [Figure 9, 10-11].
Figura 9. Gasparo Cairano (attr.), Madonna in trono col Bambino, particolare della Figura 8.
Figure 10. Gasparo Cairano e collaboratori, Apostolo, particolari delle Figure 2.
Figure 11. Gasparo Cairano e collaboratori, Apostolo, particolari delle Figure 3.
Si sarà notato come già queste due prime opere contestate da Tanzi mostrino rimandi rispettivamente diversi ai medesimi lavori documentati dell’artista.
I vuoti del suo regesto lasciano al buio anche il capitolo non meno importante del rilievo istoriato. Sebbene i fregi del portico della Loggia, documentabili come opere di Gasparo nel 1495 e 1496, rechino alcuni piccoli tondi con scene all’antica sicuramente ascrivibili a lui (nota 7), non è dato sapere se, al di fuori di simili motivetti clipeati di origine per lo più numismatica, lo scultore avesse affrontato il rilievo istoriato in dimensioni più ampie, attraverso composizioni originali e su temi sacri, lasciandoci tutte le incognite dovute al raggio di opzioni tecniche utilizzabili nel rilievo, assai più ampio che nella statuaria.
A me pare tuttavia che nell’Adorazione in S. Francesco a Brescia (nota 8), ulteriore opera contestata da Tanzi tra quelle da me attribuite, si concentrino in scala ridotta tutti gli elementi appena incontrati nelle statue di Gasparo Cairano, ovviamente abbinati ai molti altri – anche di tipo coreografico – richiesti dalla varietà illustrativa di una scena, la cui tecnica scultorea prescelta dello scorcio prospettico ha comportato la compressione delle figure, anche di quelle in apparente tutto tondo sul primo piano [Figure 12, 13-14-15].
Figure 12, 13-14-15. Gasparo Cairano (attr.), Adorazione dei pastori, insieme e particolari, Brescia, S. Francesco, databile 1492-1495 circa.
La necessità di incrementare l’assortimento umano ha fatto sì che oltre al tipo femminile più aggiornato e robusto impiegato per la Madonna, lo stesso appena visto nella statua del Castello Sforzesco, compaia invece, nelle figure sulla sinistra, anche quello più esile e arretrato dell’Assunta sulla chiave di volta del Duomo vecchio, del 1491. Tra queste figure mi pare di vedere anche l’evidente retaggio degli Apostoli dei Miracoli, secondo una rielaborazione analoga a quella della Santa Cavallini Sgarbi, più vicina nel tempo.
Le ricorrenze appaiono conformi anche sul piano della cronologia, dato che, come verificato da Giovanni Agosti, il rilievo era parte del sarcofago di Luigi Caprioli, morto nel 1492, rendendo del tutto plausibile l’esecuzione dell’opera entro qualche anno, in tempo per vedere i primi rilievi dell’Amadeo e del Briosco sulle basi del portale della Certosa di Pavia, probabilmente iniziati nello stesso 1492.
Al pari del rilievo in S. Francesco, Tanzi reputa opere prive di “stringenti relazioni formali con quelle documentate a Coirano” anche altre sculture nelle quali ravvisa rimandi tanto marcati a Maffeo Olivieri, che “se Zani non avesse cancellato dalla scultura in marmo bresciana Maffeo Olivieri sarei orientato a mantenere il gruppo sotto il suo nome”. Di questo gruppo ‘olivieriano’, composto dall’arca di Sant’Apollonio, dalla Sacra conversazione con donatori Kress della National Gallery di Washington, e dalle due chiavi di volta figurate della sacrestia di S. Francesco a Brescia, con le immagini di Sant’Antonio da Padova e San Francesco [Figure 16 e 17], esamineremo per prime queste ultime, che sembrerebbero anche le opere più antiche del gruppo (nota 9).
Figure 16 e 17. Gasparo Cairano (attr.), Sant’Antonio da Padova e San Francesco, Brescia, S. Francesco, sacrestia, databili 1497-1500 circa.
Della prima, con Sant’Antonio da Padova, mi paiono evidenti i legami con il Sant’Apollonio sulla chiave di volta del portico della Loggia, documentata al 1497, oppure con le due testone grottesche (non documentabili con certezza, ma da riferire indubitabilmente a Gasparo) sotto gli enormi Trofei sporgenti dagli angoli del prospetto orientale della Loggia, pagati all’artista nel 1499 e nel 1500 [Figure 18, 19 e 20, nota 10].
Figura 18. Gasparo Cairano (attr.), Sant’Antonio da Padova, particolare della Figura 16.
Figura 19. Gasparo Cairano, Sant’Apollonio, particolare, Brescia, Loggia, documentato 1497.
Figura 20. Gasparo Cairano (attr.), Testa grottesca, Brescia, Loggia, databile 1499-1500 circa.
Quanto all’altra chiave di volta, con San Francesco, trovo ugualmente chiaro il rimando ad alcuni dei Cesari presumibilmente eseguiti nello stesso periodo [Figure 21 e 22, nota 11].
Figura 21. Gasparo Cairano (attr.), San Francesco, particolare della Figura 17.
Figura 22. Gasparo Cairano, busto di Cesare, Brescia, Loggia, documentabile 1497-1498 circa.
Mi pare che i confronti riconducano con chiarezza a Gasparo Cairano, oltre a tracciare una cronologia anteriore al 1509, in cui dovette venire edificata la sacrestia. A far supporre che si tratti di materiali dismessi, pervenuti da altri ambienti del convento, depone anche la loro collocazione entro le ampie campate delle vele del soffitto, e non, come sarebbe normale per delle chiavi di volta, al centro delle interposte membrature della crociera, invece sguarnito (nota 12).
Databili dunque con verosimiglianza tra il 1497 e il 1500 circa (quando Maffeo Olivieri aveva tra i tredici e i sedici anni circa), le due chiavi in S. Francesco testimoniano un altro progresso dell’arte di Gasparo, ulteriore effetto della sua dedizione ai Cesari, ossia l’adozione di un linguaggio modulato su sottili sfumature emotive, ben diverso dall’espressionismo sgraziato degli Apostoli dei Miracoli. E’ una svolta poetica in chiave naturalistica, molto più attenta all’identificazione umana dei soggetti rappresentati anche attraverso un’inedita mimesi degli incarnati, che nelle figure anziane porterà a un deciso affinamento del repertorio di ricaschi della pelle, doppi menti, occhiaie etc.
Anche questo risulta essere un indirizzo progressivamente perfezionato da Gasparo, come ci è testimoniato dai suoi lavori documentati di figura giunti fino a noi, che purtroppo non vanno oltre il 1509.
Nella sua produzione profana, il culmine documentabile di questo orientamento è negli ultimi Cesari della Loggia, consegnati nel 1503, mentre quello non documentabile è nei busti più piccoli, senza ombra di dubbio suoi, istallati sull’attiguo edificio dello scalone e sul relativo cavalcavia di raccordo alla Loggia, compiuto nel 1507. Sembra a tratti molto forte, in tutti questi esemplari, un influsso del classicismo veneziano alla Tullio Lombardo.
Nell’arte sacra, lo scultore manifesta i primi segni del nuovo corso a partire dalla chiave di volta della Loggia con Sant’Apollonio, del 1497, e raggiunge il culmine documentabile nei busti dei Santi Pietro e Giovanni Battista sul portale del duomo di Salò, tra il 1506 e il 1509 (nota 13).
Un’interessante commistione di registri espressivi si rileva nelle statue dell’importantissima arca di Sant’Apollonio (nota 14), anch’essa ritenuta da Tanzi priva di significative attinenze con le opere documentate di Gasparo Cairano [Figure 23, 24 e 25].
Figure 23, 24 e 25. Gasparo Cairano (attr.), Arca di Sant’Apollonio, insieme e particolare delle statue di Sant’Apollonio e San Giovita, Brescia, Duomo nuovo, compiuta nel 1510.
Tali statue secondo me non solo presentano stilemi morfologici tipici dell’artista, ma rientrano in pieno nello sviluppo del suo percorso documentabile in corrispondenza della cronologia dell’arca, compiuta nel 1510, e probabilmente iniziata a pieno regime nel 1508, dopo alcuni anni di gestazione dell’iniziativa in sede di committenza.
La statua di Sant’Apollonio, fatte salve le contenute dimensioni che comportano una più essenziale definizione dei tratti fisici, mi pare rimandi abbastanza chiaramente a un’opera documentata di quel periodo come il busto di San Pietro sul portale del duomo di Salò, compiuto nel 1509 [Figure 26 e 27].
Figura 26. Gasparo Cairano (attr.), Sant’Apollonio, particolare, Brescia, Duomo nuovo, arca di Sant’Apollonio.
Figura 27. Gasparo Cairano, San Pietro, particolare, Salò, duomo, portale maggiore, documentato 1506-1509 (vedi anche Figure 40 e 57).
E’ una somiglianza di cui saltano subito all’occhio le consonanze morfologiche, ma che diviene ancor più chiara nell’eccezionale vigore interpretativo delle pur diverse intonazioni emotive di questi due volti: dalla dolente rassegnazione del santo di Salò, all’imperturbabile gravità di quello di Brescia, certamente più prossima al registro profano dei Cesari, in un senso di profonda introspezione psicologica, lontana come poco altro dalla semplificata metrica espressiva di Maffeo Olivieri.
Dall’esperienza degli ultimi e più venezieggianti Cesari dipendono inequivocabilmente le due statue dei Santi Faustino e Giovita, che infondono nell’arca un sentimentalismo riconducibile all’influsso di Tullio Lombardo o Giorgione, imponendo anche in questo caso una dominante profana, forse non indipendente dal valore civico che i documenti provano sempre abbinato alle arche santorali, e che a Brescia assumeva un’importanza tutta particolare [Figure 28 e 29].
Figura 28. Gasparo Cairano (attr.), San Faustino, particolare, Brescia, Duomo nuovo, arca di Sant’Apollonio.
Figura 29. Gasparo Cairano (attr.), busto di Cesare, Brescia, Loggia, cavalcavia dell’edificio dello scalone, databile 1507 circa.
Nei Cesari della Loggia, questa forte inflessione veneziana si evidenzia non solo nei tre più tardi esemplari sul lato meridionale (forse da identificare in quelli consegnati nel 1503, o forse in quelli non documentati, probabilmente eseguiti tra il 1505 e il 1507), affacciati verso l’edificio dello scalone, ma ancor più decisa nella serie complementare e non documentata dei cinque esemplari più piccoli, uno dei quali sul portale dello stesso edificio e gli altri quattro sul cavalcavia di raccordo con la Loggia, compiuto nel 1507 (nota 15).
E’ importante notare che le parti non finite del volto di San Faustino, benché condotte a un livello di definizione ormai prossimo alla sola politura, sono lavorate a scalpello piatto e non a gradina, come a scavalcare l’ultimo passaggio uniformante e correttivo di un canonico procedimento tecnico di modellazione, a riprova della dimestichezza e del virtuosismo di questo maestro nello scolpire teste.
Moduli figurativi caratteristici di Gasparo Cairano affiorano nella statua di San Faustino anche confrontandola con un’opera pur documentata ma non entusiasmante, dovuta in parte a collaboratori, come il busto del Padre Eterno sul portale del duomo di Salò (1506-1509) [Figure 30 e 31].
Figura 30. Gasparo Cairano (attr.), San Faustino, particolare, Brescia, Duomo nuovo, arca di Sant’Apollonio.
Figura 31. Gasparo Cairano e collaboratori, Padre Eterno, particolare, Salò, duomo, portale maggiore, documentato 1506-1509.
Quanto ai rilievi dell’arca, si è già appurato nella scorsa pagina come la loro impronta brioschiana possa configurarsi come normale conseguenza dell’amadeismo dell’Adorazione in S. Francesco, in linea con i risaputi avvicendamenti stilistici della corrispondente fase storica della scultura lombarda. Mi pare tuttavia che la continuità si ponga non solo per una logica contestuale, ma anche per una rispondenza interna ai singoli elementi delle opere. Nelle scene dell’arca, le figure sono aggruppate in modo più articolato e proporzionalmente ridimensionate in rapporto alle quinte architettoniche, le quali tradiscono più chiaramente la stessa concezione ormai un po’ superata già vista nell’Adorazione, tanto da proporre un’estesa citazione dalla stampa Prevedari, precedente di quasi trent’anni [Figura 32, nota 16].
Figura 32. Gasparo Cairano (attr.), Predica di Sant’Apollonio, Prova dell’Eucaristia, Sant’Apollonio battezza Calocero, Brescia, Duomo nuovo, arca di Sant’Apollonio.
Riguardo invece alla pala Kress della National Gallery di Washington (nota 17), il suo indissolubile legame con l’arca di Sant’Apollonio presuppone considerazioni analoghe, anche in termini di cronologia. Tra i punti più comuni si ravvisa la tipologia della Madonna, niente più che un’evoluzione di quelle già incontrate, che ricorre nuovamente nella Madonna già Longari (nota 18).
Il confronto tra queste tre figure mi pare renda indiscutibile l’evidenza di una medesima paternità artistica, a tratti forse con la mano di qualche collaboratore, ma in tempi verosimilmente molto ravvicinati [Figure 33, 34 e 35].
Figura 33. Gasparo Cairano (attr.), Madonna col Bambino, particolare, Brescia, Duomo nuovo, arca di Sant’Apollonio.
Figura 34. Gasparo Cairano (attr.), Madonna col Bambino, Santi e donatori, particolare, Washington, National Gallery, databile 1510 circa (vedi anche Figura 54).
Figura 35. Gasparo Cairano (attr.), Madonna col Bambino, Collezione privata (già Milano, Galleria Nella Longari), databile 1510-1515 circa.
Mi chiedo quale evidenza più forte di questa possa indurre Tanzi a separare la Madonna già Longari dalle due gemelle, accostandola ad opere da lui reputate addirittura di altro autore, in realtà dello stesso Gasparo, ma del secolo precedente (cioè le già incontrate Santa Cavallini Sgarbi, Madonna col Bambino del Castello Sforzesco, Adorazione in S. Francesco a Brescia).
Nella Madonna già Longari, senza alcun dubbio integralmente autografa, la squisita finezza esecutiva e il panneggio fluido, molto vicino alle statue dell’arca di Sant’Apollonio fanno pensare anche in questo a una cronologia prossima al 1510, magari anche un po’ più tardi.
A date analoghe collocherei le parti figurative in marmo del Mausoleo Martinengo, più o meno in contemporanea con quelle decorative dei pannelli dietro le colonne, mentre quelle della cassa credo che siano precedenti [Figure 36, 37-38, nota 19].
Figura 36. Bernardino Dalle Croci e scultore lombardo (Gasparo Cairano?), Mausoleo Martinengo, Brescia, Musei Civici, documentato 1503-1516.
Figure 37-38. Gasparo Cairano (attr.), San Pietro e Scena di sacrificio, particolari del Mausoleo Martinengo. Brescia, Musei Civici, databili 1510-1515 circa.
Le due statue dei Santi Pietro e Paolo sulla sommità sono opere inconfondibili di Gasparo Cairano, come prova ancora una volta il confronto con i busti autografi sul portale del duomo di Salò (1506-1509), o con alcuni Cesari della Loggia, presumibilmente dei primissimi anni del Cinquecento [Figure 39, 40, 41 e 42].
Figura 39. Gasparo Cairano (attr.), San Pietro, Mausoleo Martinengo, particolare della Figura 37.
Figura 40. Gasparo Cairano, San Pietro, particolare, Salò, duomo, portale maggiore, documentato 1506-1509 (vedi anche Figure 27 e 57).
Figura 41. Gasparo Cairano (attr.), San Paolo, Mausoleo Martinengo, particolare della Figura 37.
Figura 42. Gasparo Cairano, busto di Cesare, Brescia, Loggia, documentabile 1501-1502 circa.
Rispetto a tali opere documentate e di dimensioni sostenute, mi pare che le statue della tomba propongano una rielaborazione di forme in scala ridotta, del tutto simile a quella rilevabile nelle statue dell’arca di Sant’Apollonio, sulla base degli stessi testi di confronto.
I due tondi istoriati dietro le colonne del Mausoleo Martinengo mi pare esprimano stilemi ben riconoscibili in una linea di continuità che va dai fregi del portico della Loggia (1495-1496), ai piccoli inserti all’antica sulle architetture dell’Adorazione in S. Francesco (1492-1495 ca.), e infine ai rilievi dell’arca di Sant’Apollonio (1508-1510).
Trovo eloquente, tra gli altri, un confronto tra la figura inginocchiata vista di schiena e una analoga su un rilievo dell’arca di sant’Apollonio, che rivela una medesima costruzione anatomica del dorso, con elementi disegnativi piuttosto particolari, a mio parere difficilmente interpretabili se non come chiaro segno di una comune autografia [Figure 43 e 44].
Figura 43. Gasparo Cairano (attr.), Scena di sacrificio, particolare del Mausoleo Martinengo. Brescia, Musei Civici.
Figura 44. Gasparo Cairano (attr.), Sant’Apollonio battezza i neofiti, particolare, Brescia, Duomo nuovo, arca di Sant’Apollonio.
Sono gli stessi stilemi che ritroviamo poi nei fregi anulari, con la famosa rielaborazione della mantegnesca Zuffa degli dei marini, sulle colonne dell’altare di San Gerolamo in San Francesco a Brescia [Figure 45 e 46, nota 20].
Figura 45. Gasparo Cairano e Antonio Medaglia (attr.), protiro d’altare, Brescia, S. Francesco, altare di S. Gerolamo, databile 1510 circa.
Figura 46. Gasparo Cairano (attr.), Zuffa di dei marini, particolare, Brescia, S. Francesco, altare di S. Gerolamo.
Giuseppe Sava ha da poco dimostrato che l’altare è opera di collaborazione tra Gasparo Cairano e Antonio Medaglia (nota 21), al quale attribuisce il progetto e, per quanto riguarda la parte scultorea, solo alcune piccole figure nel fregio, le uniche effettivamente alla portata di un maestro di figura del suo livello, ben al di sotto dei requisiti minimi per poter realizzare – ma forse anche solo ideare – capolavori come la citata Zuffa o i due meravigliosi busti nei pennacchi.
Se il contributo del Medaglia a quest’opera rispecchia un po’ il suo generale apporto alla storia della scultura bresciana, la sua presenza all’altare di San Girolamo dimostrerebbe sbagliata la cronologia proposta da Tanzi intorno al 1520, riportandola indietro di una decina d’anni circa [Figure 47, 48, 49 e 50].
Figura 47. Gasparo Cairano (attr.), Busto di santo o monaco Francescano, Brescia, S. Francesco, altare di S. Gerolamo.
Figura 48. Gasparo Cairano (attr.), San Pietro, particolare del Mausoleo Martinengo, Brescia, Musei Civici, databile 1510-1515 circa (vedi anche Figure 37 e 39).
Figura 49. Gasparo Cairano (attr.), Busto di santo o monaco Francescano, Brescia, S. Francesco, altare di S. Gerolamo.
Figura 50. Gasparo Cairano e collaboratori (attr.), Apostolo, Brescia, S. Pietro in Oliveto, databile 1507-1510 circa.
Tanzi scorpora infine dal catalogo di Gasparo Cairano due altre opere, a suo avviso “da Rinascimento umbratile”, e dunque, si presume, di cronologia potenzialmente anche molto anteriore alla vicenda dell’artista. Si tratta di due statuette: una Fede, apparsa anni or sono sul mercato antiquario, e un San Giovanni Evangelista, collocato su un portale del chiostro dell’omonimo complesso a Parma, attribuite di recente a Gasparo Cairano rispettivamente da Giancarlo Gentilini e Alessandra Talignani (nota 22).
Condivido in pieno l’attribuzione di entrambe, anche se la Fede sembra tradire la mano di qualche collaboratore in parte del panneggio e negli arti, mentre il volto si caratterizza chiaramente come uno degli esempi di quella tipologia femminile assorta, e ormai un po’ leonardesca, che abbiamo riconosciuto come uno dei motivi peculiari del repertorio dell’artista [Figura 51].
Figura 51. Gasparo Cairano e collaboratori (attr.), Fede, Collezione privata, databile 1510-1515 circa.
Considerando che anche l’intera figura e l’elaborazione del panneggio riprendono pressoché alla lettera schemi ben riconoscibili nella sua produzione, ad esempio nella pala Kress, direi che l’unico sensato motivo per cui si possa definire “umbratile” una scultura del genere è l’evidenza con cui si pone all’ombra delle opere indicate di Gasparo Cairano, che avevo già indicato nel mio libro [Figure 52-53 e 54].
Figure 52. Gasparo Cairano e collaboratori (attr.) Fede, particolare della Figura 51.
Figure 53. Gasparo Cairano e collaboratori (attr.) Fede, particolare della Figura 51.
Figura 54. Gasparo Cairano (attr.), Madonna col Bambino, Santi e donatori, particolare. Washington, National Gallery, databile 1510 circa (vedi anche Figura 34).
Quanto all’altra statuetta, cioè il più pregiato San Giovanni Evangelista di Parma [Figura 55], l’attribuzione a Gasparo Cairano è frutto di un lungo e delicato lavoro di Alessandra Talignani, analogo a quello che, poco dopo, le permise di riconoscere presso una collezione privata una statua di Alberto Maffioli da Carrara, probabile maestro di Gasparo, trafugata dal duomo di Parma nel 1979 e ora felicemente rincasata grazie al conseguente e altrettanto benemerito intervento dell’Arma dei Carabinieri (nota 23).
Figura 55. Gasparo Cairano (attr.), San Giovanni Evangelista, Parma, San Giovanni Evangelista, chiostri, databile 1510-1515 circa.
Come osservato dalla studiosa, il San Giovanni Evangelista di Parma ripropone l’inconfondibile panneggiare dei busti dei Santi Pietro e Giovanni Battista sul portale del duomo di Salò (1506-1509) [Figure 56 e 57], e delle due statue dei Santi Pietro e Paolo nel Mausoleo Martinengo.
Figura 56. Gasparo Cairano (attr.), San Giovanni Evangelista, particolare della Figura 55.
Figura 57. Gasparo Cairano, San Pietro, particolare, Salò, duomo, portale maggiore, documentato 1506-1509 (vedi anche Figure 27 e 40).
Ricorrono dettagli tipici della statuaria di Gasparo Cairano, come il lembo ripiegato sulla spalla, o il sistema di pieghe raggiate intorno ai bottoni sul petto, oppure i risvolti del bavero, oppure, ancora, il ricasco a terra dei bordi ripiegati secondo il particolare disegno ad anse più o meno spigolose, già presente molti anni prima nella Madonna col Bambino del Castello Sforzesco. E’ invece tipica di alcuni lavori tardi dell’artista la capigliatura composita con ciocche dalle forme e dall’andamento molto variati, qui ben percepibile nonostante le consunzioni da dilavamento che hanno interessato la testa della figura. Oltre alla leggera abrasione superficiale, anche il volto ispirato e sofferto lascia vedere chiaramente la sensibilità ritrattistica della fase tarda dell’artista, in un’opera certamente tra le più estreme del suo percorso, conclusosi in un momento imprecisato tra il 1513 e il 1517.
Non trovando alcunché di “umbratile” neppure nel presente caso, mi auguro che Tanzi abbia presto occasione di argomentare ulteriormente questa sua lettura delle due statuette, basata, suppongo, su testi scultorei di confronto che sarei molto curioso di conoscere.
Di contro, i confronti qui esaminati e conclusi mi pare abbiano fin troppo chiaramente dimostrato come le opere da me attribuite a Gasparo Cairano e contestate da Tanzi siano tutt’altro che “prive di stringenti relazioni formali con quelle documentate” dell’artista, evidenziando semmai una costante circolarità di riscontri che è possibile seguire quasi passo passo lungo gli sviluppi dello stile dello scultore.
Non comprendo il senso dei distinguo di Tanzi, che trovo anzi molto più grossolani della ricostruzione critica che pretenderebbero di affinare. Anche per questo, ma non solo, mi riescono del tutto fuori luogo i toni perentori usati dallo studioso nell’illustrare i suoi argomenti (nota 24). Tuttavia, nell’attesa che i documenti che “rivelano un panorama assai più articolato di lapicidi e picapreda” possano restituire l’identità dei tre insigni statuari bresciani da me confusi con Gasparo Cairano, mi permetterei di proporre per loro i nomi provvisori di Primo, Secondo e Terzo sosia di Gasparo Cairano (cui andrebbero aggiunti i due sosia “da Rinascimento umbratile”): nomi forse un tantino simili, ma senza dubbio molto meno confondibili delle opere ricondotte ai rispettivi maestri.
Nomi certamente anche più consoni – per concludere da dove si è iniziato – della denominazione di “Scultore lombardo (Bresciano?) tra Tamagnino e Coirano”, scelta da Tanzi per l’attribuzione dei Tre Angeli reggicorona, non solo perché l’opera risulta non aver nulla a che fare con Brescia, né col Tamagnino, né con Gasparo Cairano, ma anche per il precedente assai poco memorabile rievocato da tale denominazione (nota 25).
NOTE
[1] La parte precedente del testo è stata pubblicata nel settembre 2012 [Leggi] ed è a sua volta la continuazione di una già postata su Antiqua nel giugno dello stesso anno) [Leggi].
[2] Il catalogo d’asta con la scheda di Marco Tanzi (Arredi, Mobili e Dipinti Antichi provenienti dalla famiglia Antinori-Buturlin e altre proprietà private, Pandolfini casa d’aste, Firenze, asta 11-12 ottobre 2011, pp. 252-253 lotto 453) è consultabile [Vedi].
[3] V. Zani, Gasparo Cairano e la scultura monumentale del Rinascimento a Brescia (1489-1517 ca.), Roccafranca 2010.
[4] Sulla Santa Cavallini Sgarbi, si veda Zani, Gasparo Cairano… cit., p. 117 cat. 5; sugli Apostoli dei Miracoli e sui Cesari, Ibid., pp. 115, 122, cat. 1, 13.
[5] Zani, Gasparo Cairano… cit., pp. 116-117 cat. 4.
[6] Zani, Gasparo Cairano… cit., p. 119 cat. 7.
[7] Zani, Gasparo Cairano… cit., pp. 123-124 cat. 15.
[8] Zani, Gasparo Cairano… cit., pp. 117-119 cat. 6.
[9] Zani, Gasparo Cairano… cit., pp. 124-125 cat. 16.
[10] Sulla chiave di volta con Sant’Apollonio e sui Trofei della Loggia, vedi Zani, Gasparo Cairano… cit., pp. 121-123 cat. 11, 14.
[11] Sui Cesari vedi supra, nota 4;
[12] Sulla sacrestia si veda V. Volta, Le vicende edilizie della chiesa e del convento di San Francesco, in La chiesa e il convento di San Francesco di Assisi in Brescia, Brescia 1994, p. 50. Altre quattro chiavi di volta di spoglio, più grandi e meno pregiate, riconducibili ai primi anni del Cinquecento, sono variamente collocate su pareti esterne del complesso conventuale (P.V. Begni Redona, Pitture e sculture in San Francesco, in La chiesa e il convento di San Francesco di Assisi in Brescia, Brescia 1994, pp. 194, 196).
[13] Sulla chiave di volta con Sant’Apollonio vedi supra, nota 10; sulle sculture del portale del duomo di Salò vedi Zani, Gasparo Cairano… cit., pp. 107-108, 112, 127-128 cat. 19.
[14] Zani, Gasparo Cairano… cit., pp. 130-132 cat. 23.
[15] Committente dell’arca di Sant’Apollonio era il Collegio dei notai bresciani, cioè una sottosezione dell’oligarchia nobiliare cittadina che, nella veste di pubblica amministrazione, aveva fatto costruire il palazzo pubblico della Loggia e incoronato Gasparo Cairano come un re in quel maestoso cantiere, che una volta compiuto divenne sede anche del Collegio notarile. Non a caso, fu proprio l’Amministrazione cittadina a sollecitare il Collegio dei notai a sobbarcarsi degli oneri della commissione. I lavori per l’arca iniziarono dopo che, nel 1507, sia era conclusa quell’appendice del cantiere della Loggia che era la fabbrica dell’attiguo edificio dello scalone, aggregato a un fianco del grande palazzo, e dotato a sua volta di meravigliosi complementi in marmo, concepiti come prosecuzione di quelli della Loggia, certamente da identificare con gli ultimi lavori di Gasparo per la gran fabbrica pubblica, non documentati, ma durati fino al 1507.
[16] Il rilievo, collocato su un fianco della cassa, rappresenta la Morte di Sant’Apollonio ed è riprodotto in Il Duomo Nuovo di Brescia. Quattro secoli di arte, storia, fede. 1604-2004, a cura di M. Taccolini, Brescia 2004, p. 157.
[17] Zani, Gasparo Cairano… cit., pp. 132-133 cat. 24.
[18] Zani, Gasparo Cairano… cit., p. 133 cat. 26.
[19] Zani, Gasparo Cairano… cit., pp. 135-138 cat. 29.
[20]
Zani, Gasparo Cairano… cit., pp. 125-126 cat. 17.
[21] G. Sava, Antonio Medaglia “lapicida et architecto” tra Vicenza e la Lombardia: il cantiere di San Pietro in Oliveto a Brescia, in “Arte Veneta”, 67 (2010), p. 135.
[22] Sulla Fede e il San Giovanni Evangelista, vedi Zani, Gasparo Cairano… cit., pp. 133-134 cat. 25, 27.
[23] Si tratta del Davide del ciborio dietro l’altare maggiore (1486-1488 ca.), tornato a Parma nel maggio 2011 [Leggi]. Poco tempo prima di essere riconosciuta (in fotografia) da Alessandra Talignani, l’opera era stata materialmente esaminata da più famosi specialisti di scultura lombarda del Rinascimento, fra cui tre convinti di avere idee molto chiare e innovative sul Maffioli, neppure sfiorati dall’idea che la statua potesse essere sua.
[24]
Marco Tanzi fece parte della commissione accademica che nel 2004 giudicò la mia tesi di dottorato da cui è tratto il libro su Gasparo Cairano, nella quale avevo formulato le stesse attribuzioni da lui ora contestate (a parte quelle delle due statue “da Rinascimento umbratile”, che non conoscevo, e che ancora non gli erano state attribuite). Il giudizio della commissione, composta per il resto da Giovanni Agosti e Alessandro Angelini, iniziava così: “Il candidato ha eseguito una vasta ricognizione bibliografica e un approfondito esame archivistico relativo al contesto preso in esame dalla tesi: e cioè la Brescia degli scultori in marmo a cavallo tra Quattro e Cinquecento. Ha avanzato diverse nuove proposte attributive concernenti Gasparo Coirano, molte delle quali convincenti […] (seguono considerazioni su seguaci e continuatori identificati dal candidato). Nel colloquio il candidato ha dimostrato buone conoscenze delle problematiche trattate. La Commissione giudica positivamente il lavoro svolto […]”.
Mi pare un giudizio diametralmente opposto all’odierna stroncatura di Tanzi (“catalogo ampio e non sempre omogeneo che postula l’egemonia esclusiva di Coirano nell’area bresciana, quando invece le carte d’archivio rivelano un panorama assai più articolato di lapicidi e picapreda”), visto anche che le attribuzioni reputate “convincenti” dalla commissione dovevano riguardare opere fondamentali (altrimenti non si spiegherebbe un giudizio favorevole), come l’arca di Sant’Apollonio, il Mausoleo Martinengo, e l’altare di San Gerolamo in S. Francesco a Brescia, ora variamente considerate da Tanzi prive di strette relazioni formali con le opere documentate dell’artista, o addirittura verosimilmente posteriori alla sua morte. Essendogli sfuggite allora incongruenze tanto pesanti e vistose nella mia ricostruzione, Tanzi avrebbe potuto usare soprattutto a proprio beneficio accenti un po’ meno sentenziosi nel manifestare i suoi odierni ripensamenti.
[25] A un “Anonimo lombardo tra Tamagnino e Coirano” erano state infatti riferite le due chiavi di volta del Duomo vecchio di Brescia con Sant’Anatalone e l’Assunta (G. Agosti, Bambaia e il classiciscmo lombardo, Torino 1990, p. 92 nota 53, fig. 29), la cui paternità documentata di Gasparo Cairano era stata resa nota quasi trent’anni prima nell’imprescindibile saggio di Adriano Peroni, L’architettura e la scultura nei secoli XV e XVI, in Storia di Brescia, vol. II, Brescia 1963, pp. 769, 774.
Sullo stesso argomento (oltre agli articoli citati nel testo):
-Angeli lombardi senz’ali (novembre 2018) [Leggi].
Prima pubblicazione: Antiqua.mi, novembre 2012
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