Un modello iconografico di successo: Alessandro e Taide di Annibale Carracci
di Sara Petrino
Durante una ricerca, svolta in occasione della mia tesi di laurea sul ciclo veterotestamentario di Palazzo Santucci a Mentana (Roma) e in particolare nell’analisi della fortuna iconografica del tema di “Giaele e Sisara” (nota 1), è nata una problematica: il modello iconografico più noto del soggetto, che sembrava essere frutto dell’ingegno di Carlo Maratta, venne “utilizzato” in realtà da un altro pittore prima di lui, Simone Cantarini, detto “il Pesarese”.
Il dipinto più celebre che rappresenta il tema di Giaele che indica a Barak il corpo di Sisara morto, è indubbiamente quello del maestro romano, diffusosi grazie alle numerose copie, stampe e incisioni tratte da esso, che altri artisti utilizzarono anche a distanza di un secolo per le loro opere.
Un esempio è l’affresco che fa parte di un ciclo settecentesco realizzato da Pietro Paolo Vasta ad Acireale (Ct) (Figura 1), dove il modello iconografico viene ripreso per rappresentare lo stesso soggetto: Giaele e Sisara.
Figura 1. Pietro Paolo Vasta, Giaele che uccide Sisara, Acireale, Chiesa di San Camillo, 1745-1750.
Carlo Maratta affrontò più volte questo tema: la prima fu in occasione della commissione dei cartoni con Storie dell’Antico Testamento ricevuta tra il 1676 e il 1677, che dovevano fungere da guida per i mosaici destinati alla cappella della Presentazione in San Pietro al Vaticano (nota 2).
Di tutto il lavoro si conservano moltissimi disegni e riproduzioni in collezioni diverse e specialmente all’Accademia di San Luca (Figura 2); della stessa serie ce ne parla il Bellori, amico e biografo del Maratta (nota 3).
A mettere in discussione la “paternità” del modello sono state le date biografiche di Simone Cantarini, che sfruttò lo schema iconografico per un’opera di piccolo formato, oggi conservata a Macerata (Figura 3): la cronologia è incerta, ma l’attribuzione è stata fatta per documentazione.
Figura 2. Carlo Maratta, La morte di Sisara, 1680-1690 circa, Roma, Accademia di San Luca.
Figura 3. Simone Cantarini, Giaele e Sisara, ante 1648, Macerata, Palazzo Buonaccorsi.
Sappiamo che la morte dell’artista avviene nel 1648 (nota 4), mentre i primi disegni di Carlo Maratta per i mosaici, risalgono appunto agli anni Sessanta del Seicento.
Mi sono chiesta innanzitutto se i due pittori si fossero mai incontrati, scoprendo che il Pesarese, durante il suo breve soggiorno a Roma, frequentò la bottega di Andrea Sacchi quando ancora Carlo Maratta vi si formava, negli anni Quaranta del Seicento: potremmo dunque pensare che il primo abbia ripreso l’idea “abbozzata” già in quegli anni dal secondo; ma in mancanza di prove, resta tuttora un’ipotesi poco attendibile.
Data la scarsa probabilità secondo cui un pittore dal calibro di Carlo Maratta abbia copiato fedelmente un’opera del più modesto Simone Cantarini, geograficamente e cronologicamente distante da lui, risulta più avvincente l’ipotesi che esista un modello comune a cui i due artisti fecero affidamento, in momenti diversi del XVII secolo, da rintracciare nell’opera dei “maestri del passato” che guidarono la loro carriera artistica: Raffaello Sanzio e Annibale Carracci.
Lo studio di Raffaello è infatti il motivo che spinse il Pesarese a Roma (nota 5) e Carlo Maratta, formatosi nella bottega di Andrea Sacchi, viene istruito sin da giovanissimo sulle opere dello stesso.
La vicinanza tra il modello iconografico di Giaele e Sisara preso in esame e il famoso riquadro con il Giudizio di Salomone (Figura 4), realizzato dal Sanzio nel 1508 per la volta della Stanza della Segnatura in Vaticano, è piuttosto evidente, soprattutto per l’impostazione delle figure di destra, ovvero la madre in piedi e il Re Salomone, che coincidono con i personaggi di Barak e Giaele per la posa e disposizione nello spazio (Figura 5).
Figura 4. Raffaello, Giudizio di Salomone, 1508, Musei Vaticani, Stanza della Segnatura.
Figura 5. Johann Georg Bergmüller, da Carlo Maratta, Giaele e Sisara, XVIII sec, particolare.
Tuttavia l’opera di Raffaello risulta essere soltanto “un prototipo” per Giaele e Sisara: per comprovare la “tesi del modello comune”, bisognava rintracciare un disegno, opera o incisione, iconograficamente identica, o quasi, alle opere di Maratta e Cantarini.
Sono dunque passata a considerare l’altro elemento che avvicina i due pittori, ovvero l’influenza di Annibale Carracci, pittore bolognese che alla fine del XVI secolo si trasferisce a Roma dando inizio al nuovo filone “classicista” ispirato al naturalismo, contrapponendosi all’artificiosità dell’arte manierista.
Annibale era fratello di Agostino: i due fratelli, insieme al cugino Ludovico Carracci, avevano fondato nel 1582 la famosa Accademia del Naturale a Bologna, la cui finalità era quella di promuovere negli allievi la produzione dal vero.
Grazie a un articolo pubblicato sul sito Antiqua di Milano [Leggi] scopro l’esistenza di una rara incisione (Figura 6), recentemente emersa da una collezione privata, identificandone il soggetto: è firmata in basso a sinistra da Annibale Carracci (Figura 6 bis).
Figura 6 e 6 bis. Annibale Carracci, da Ludovico Carracci, Alessandro e Taide, incisione, 1592 circa.
Questa riproduzione potrebbe essere una chiave risolutiva per l’indagine su Giaele e Sisara, data l’impressionante somiglianza col modello iconografico in questione.
L’incisione deriva da un’opera di Ludovico Carracci e raffigura Alessandro e Taide che incendiano il palazzo di Serse (Figura 7), un episodio, tra l’altro, raramente rintracciabile nella tradizione artistica.
Figura 7. Ludovico Carracci, Alessandro e Taide, 1592, Bologna, Palazzo Francia Strazzaroli.
Rispetto al Giudizio di Salomone di Raffaello, l’opera risulta iconograficamente più vicina al modello di Giaele che indica a Barak il corpo di Sisara morto, soprattutto per quanto riguarda la posa della donna, alcuni dettagli come il panneggio che lascia leggermente scoperta una spalla, la capigliatura, ma anche per l’uomo in arme al suo fianco.
Inoltre, confrontando l’incisione di Alessandro e Taide con un altro degli studi di Maratta per il cartone con Giaele e Sisara (Figura 8), notiamo un’altra analogia: nello sfondo, tornano le due linee verticali (probabilmente un pilastro) che separano i personaggi e l’ambiente interno da quello esterno.
Figura 8. Carlo Maratta, Giaele e Sisara, disegno preparatorio, Londra, Royal Collection.
Le opere con Giaele e Sisara trovano indubbiamente il suo “prototipo iconografico” nel disegno di Raffaello, ma che ci sia l’influente mediazione di Annibale Carracci per quanto concerne la sua concretizzazione e diffusione, è un dato di fatto. Infatti, l’affresco con Alessandro e Taide verrà copiato da numerosi artisti e incisori: un esempio celebre è il disegno di Carlo Antonio Pisarri (Figura 9).
Figura 9, Carlo Antonio Pisarri, da Ludovico Carracci, Alessandro e Taide, 1750 circa, disegno a sanguigna.
Egli fu il primo stampatore dei Carracci, pubblicando una raccolta illustrante i diversi camini bolognesi per i tipi, con all’interno 18 tavole dei Carracci (nota 7). Dunque, sapendo che Annibale Carracci si ispirò a Raffaello soprattutto dopo il suo arrivo a Roma, risulta curioso il fatto che il suo primo soggiorno nella città papale avvenne proprio nel 1592, anno in cui l’affresco con Alessandro e Taide viene dipinto; lo stesso Annibale, tre anni dopo, riutilizzò il modello dell’incisione nella lunetta con Ulisse e Circe al Camerino Farnese (Roma) per il Mercurio in secondo piano (Figura 10).
Figura 10. Annibale Carracci, Ulisse e Circe, 1595-1597, Roma, Camerino Farnese.
Per concludere, è d’obbligo riconoscere il merito ad Annibale Carracci, che riuscì a rendere lo schema iconografico di Alessandro e Taide un modello di successo, grazie alla sua riproduzione incisoria.
Quest’ultimo, come dimostra il cartone di Carlo Maratta con Giaele e Sisara, che nel Seicento verrà esposto a lungo “alla vista di ciascuno” (nota 8) (precisamente nella sala Regia del palazzo Quirinale Pontificio di Monte Cavallo, oggi palazzo del Quirinale a Roma) e quindi copiato da vari pittori che intendevano studiare la sua maniera, diverrà “adattabile” a soggetti sia cristiani che profani, in cui risulta, tuttavia, esserci sempre una costante: la tematica di fondo della donna che seduce, attrae o inganna l’uomo in arme, incarnata, per esempio, da Taide (soprattutto nella concezione dantesca), Circe o Giaele, l’eroina biblica che, prima di uccidere Sisara a tradimento, lo aveva accolto nella sua tenda, convincendolo a riposare.
NOTE
[1] S.Petrino, I “sughi d’erba” di Palazzo Santucci a Mentana: un raro caso di decorazione veterotestamentaria in epoca neoclassica, Roma 2019, pp. 37-46.
[2] G.Morello, La Basilica di San Pietro: Fortuna e immagine, Roma 2012, p.398.
[3] Bellori, 1672, 1689-1731/1732, ed. 1976, pp. 601-602.
[4] C.C. Malvasia, Felsina Pittrice, Bologna 1971, p. 381.
[5] M.Mancigotti, Il Pesarese e i suoi capolavori: Simone Cantarini (1612-1648), Pesaro 2006, pp. 143-144.
[6] L.Gallet, J. Massenet, Thais opera in tre atti, Venezia 2007, p. 13.
[7] C.A. Pisarri, Raccolta de’ Cammini che si ritrovano in varie case nobili di Bologna dipinti da Lodovico, d’Annibale, e d’Agostino Carracci, Bologna 1740-1745.
[8] Bellori, 1672…, p. 602.