Un pregevole vaso di produzione napoletana

di Gianni Giancane

Sottoposto alla nostra attenzione da un gentilissimo lettore, analizziamo un interessante manufatto in terraglia [Figura 1] cercando di definirne il periodo storico di fabbricazione ed attribuirgli, possibilmente, una corretta paternità.

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Figura 1  Il vaso, cm. 26 di larghezza max e 61 di altezza, si mostra in tutta la sua espressiva bellezza.

Come ipotizzato dal richiedente, il manufatto potrebbe appartenere a una delle manifatture ceramiche operanti a Napoli nella prima parte del XIX secolo sulla scia della Real Fabbrica e nello specifico quelle dei Giustiniani, dei Migliuolo, anche in associazione con i primi (nota 1), dei Del Vecchio, alle quali aggiungerei quella di Francesco Securo (nota 2). L’impronta stilistica rimanda infatti all’area napoletana, al primo quarto del secolo, e pur in assenza di un qualsiasi marchio (come segnalato dal lettore) sicuramente a una delle importanti manifatture citate. Ma quale?

L’impianto composito-strutturale
Di imponenti dimensioni, realizzato in terraglia ed in ottimo stato di conservazione (a parte un intervento di restauro sul coperchio), il vaso è scandito da tre sezioni distinte ma armoniosamente correlate:
-un corpo centrale globulare asimmetrico, rastremato in basso e sovrastato in alto da un collo pseudo cilindrico ad anello allargato superiore, leggermente svasato e con orlo rivoltato;
-una base tripode a piedi ferini con zampe ed artigli su piccole sferule;
-un coperchio con finale a forma d’aquila appollaiata su rocce e ramoscello nel becco.
La presa del vaso è affidata a due lineari e slanciate anse, arricchite in alto da eleganti volute e girali.
Completano il quadro piccoli inserti quali rosette [Figura 2] e protomi di satiresse che, oltre ad arricchire dedicati spazi, conferiscono al vaso pregio ed eleganza formale [Figure 3 e 3a].

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Figura 2.  Parte inferiore del vaso con i tre piedi ferini e rosetta centrale, in monocromo avorio dello stesso colore del fondo del vaso.

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Figura 3. Veduta laterale del vaso con protome di satiressa in policromia che chiude la coppia di listelli scanalati (colonnette) formanti la parte inferiore di una delle due anse; un elegante motivo selliforme definisce quella superiore (il medesimo decoro compare ovviamente sul fianco opposto). Da notare come anche il piede posteriore e tutto il retro del manufatto, siano stati lasciati senza decorazione perché parti non in vista.

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Figura 3a. Ingrandimento della protome di satiressa che consente di cogliere al meglio i fini dettagli della lavorazione ceramica e le cromie utilizzate nella dipintura.

Ora, come ampiamente dimostrato dai diversi esemplari oggi presenti in raccolte pubbliche e/o private, vasi e contenitori di simile conformazione strutturale sono stati prodotti da tutte le manifatture prima richiamate (a volte con leggere varianti) e, in mancanza di un marchio di fabbrica, risulta spesso difficile una attribuzione certa.
A titolo d’esempio riportiamo due splendidi esemplari (per entrambi vedasi Donatone 1991), uno attribuito dallo studioso alla manifattura Giustiniani [Figura 4] e un altro, sempre secondo il Donatone, di produzione spendibile tra i Migliuolo-Giustiniani e Francesco Securo [Figura 5].

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Figura 4. Come facilmente rilevabile, tanto la base tripode a piedi ferini quanto la presa del coperchio con lo stesso motivo dell’aquila (anche qui con ramoscello nel becco) accomunano non poco questa zuppiera al nostro vaso (Donatone op. cit., fig. 81).

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Figura 5. Questo vaso, in collezione privata, presenta corpo centrale e collo molto vicini al nostro; anche le anse e i volti muliebri non sono così distanti, mentre le espressioni pittoriche sul corpo globulare mostrano addirittura lo stesso pensiero e stile pittorico (Donatone, op. cit., tav. 5b).

Può anche accadere che uno stesso esemplare [Figura 6] venga attribuito da alcuni studiosi a manifatture diverse.

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Figura 6. Splendido vaso, nelle collezioni del Museo Correale di Sorrento, con Donna che soggioga un centauro sul corpo globulare e amorino festante sul collo; il tutto tra delicatissime ghirlande intrecciate (Rotili 1981, tav. VII).

L’oggetto – anch’esso vicino al nostro nella veste composito-strutturale, anse comprese – privo di marca, viene riconosciuto dalla Caròla-Perrotti (Caròla-Perrotti 1972, tav. 362) e dal Rotili (op. cit.) quale prodotto della Manifattura Giustiniani.
Viene assegnato invece dal Donatone, con “molta probabilità” al sodalizio Migliuolo-Giustiniani (Donatone, op. cit., pag. 78 e tav 5 c, d) più che al nutrito gruppo di manufatti della produzione vascolare esclusiva dei Giustiniani.
Inutile ripetere quanto possa essere d’aiuto in questi casi la presenza di un marchio…
Tornando al vaso per il quale il lettore chiede lumi sulla paternità, non rivelandosi risolutivo lo studio della componente composito-strutturale occorre rivolgere altrove gli sforzi e attingere a un altro elemento diagnostico, quello della decorazione, sperando che i risultati tornino utili al nostro buon fine.

L’apparato iconografico
Il vaso, dipinto solo frontalmente, presenta due splendide raffigurazioni pittoriche, una sul corpo e una sul collo, mentre un’altra di più piccole dimensioni la ritroviamo sul coperchio.
Sul corpo centrale appare una scena con amorini festanti intenti a giocherellare con una capra, su zolle erbose tra pampini e grappoli d’uva sullo sfondo di una arborea distesa verde [Figura 7].

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Figura 7. L’importante dipintura della scena con un delicato e raffinatissimo intreccio di tenui cromie ad esaltare l’allegra e festante goliardia dei quattro puttini e della capretta, il tutto steso con notevole resa pittorica.

La presenza della capra dal folto e lungo vello e l’interazione con due amorini sulla groppa e altri due sul nudo terreno, rimanda alla capra Amaltea e alla sua iconografia (nota 3).
Qui è l’espressione del caprino, pensato di profilo ma con un accattivante sguardo verso l’osservatore, a dominare la scena, di elevato livello decorativo e grande incisività.
Anche la miniatura sul collo [Figura 8] evidenzia il simbiotico dualismo tra uomo e animale con un amorino che giocherella cavalcando una fiera (probabilmente pensata come leonessa ma dall’aspetto più vicino al leopardo), accovacciata, con i volti a intersecare lo sguardo.

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Figura 8. Molto interessante il pensiero pittorico del decoratore che affida ad un tralcio di pampini il collare con cui tenere al guinzaglio il robusto ferino.

A caccia della paternità
Una complessa indagine condotta attraverso numerose fonti della letteratura specializzata (vedasi riferimenti bibliografici), ha condotto lo scrivente alla ricerca di quegli elementi iconografici che potessero in qualche modo riconoscersi nelle espressioni pittoriche del nostro vaso, quantomeno avvicinandolo a una delle manifatture ipotizzate o al meglio identificandola.
Nel corso della febbrile ricerca, intento a esaminare l’opera citata del Donatone, mi sono imbattuto in qualcosa che mi ha letteralmente sorpreso, non sperando in cotanta grazia… [Figure 9 e 9a].

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Figura 9. Prova inconfutabile di appartenenza di tale oggetto alla manifattura Del Vecchio grazie al marchio F.D.V.N. che sta per Fabbrica Del Vecchio Napoli (Donatone, op. cit., fig.174).

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Figura 9a. Ingrandimento della scena dipinta nel cavetto del vassoio, cosiddetto fiamminga, di Figura 9.

Eureka!
Il vassoio, come facilmente evincibile, è decorato al centro con la stessa identica scena del nostro vaso, con il solo albero posto in posizione speculare sulla destra invece che a sinistra. Pur non potendo conoscere le cromie impiegate, resta assolutamente identica l’espressione stilistico-pittorica confrontata con quella del nostro, sicuramente mano di uno stesso autore, al momento non identificabile, che molto probabilmente operava in quel periodo (secondo decennio del XIX secolo) per la manifattura Del Vecchio in Napoli, e ritengo tale ipotesi di lavoro abbastanza plausibile.
Occorre precisare come il vaso non appartenga, a mio parere, a un eventuale servizio della fiamminga, in primis per il palese decoro sulla tesa della stessa che non ritroviamo nel nostro ed anche perché siffatti vasi venivano sovente realizzati al di fuori di servizi vascolari destinati a raffinate tavole imbandite.
Essi erano invece pensati, quasi sempre in coppia, quali elementi decorativi dell’arredo domestico nei vari angoli della casa e in particolare sulle consolle, ma ancor più sulle mensole dei camini, con le decorazioni a volte su entrambi i fronti del manufatto, a volte solo su quello a vista come nel nostro caso.
Giunti a tal punto, visti gli inequivocabili riferimenti iconografici reperiti e non credendo di rilevare eventuali elementi di deviante incertezza, assegnerei il bellissimo vaso del nostro lettore alla Manifattura dei Fratelli del Vecchio che lo ha fabbricato in Napoli nel secondo decennio del XIX secolo sulla scia di opere precedenti realizzate a Napoli dalla Real Fabbrica Ferdinandea.  Si colga la forte analogia del ductus pittorico del nostro vaso con quello della miniatura di questo splendido piatto realizzato  nella Real Fabbrica Ferdinandea alcuni decenni prima [Figura 10, nota 4].

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Figura 10. Piatto con Un Genio alla caccia di due cervi, porcellana tenera della Real Fabbrica Ferdinandea, 1780-1782, facente parte del complesso servizio detto Ercolanense donato a Carlo III in Spagna, oggi in collezione privata (Caròla-Perrotti, 1986, scheda 258).

Considerazione finale
A conclusione della nostra disamina e a ulteriore conferma dell’attribuzione del vaso ai Del Vecchio, aggiungerei anche un piccolo ma importante elemento. Come segnalato da Guido Donatone (op. cit., fig.197), nei manufatti ceramici della Manifattura Del Vecchio le protomi di satiressa parrebbero una componente utilizzata soprattutto nei manufatti decorati con vedute, e una veduta paesistica è presente anche sul coperchio del nostro vaso [Figura 11].

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Figura 11. Il coperchio con il decoro a paesaggio sul fronte e la presa a forma di maestosa aquila con ramo nel becco; chiaramente visibile l’intervento di restauro

Tale parametro identificativo, preso da solo, non sarebbe stato mai sufficiente all’attribuzione del manufatto alla manifattura considerata, ma “legato” a quanto ci ha raccontato l’apparato iconografico…, beh, allora considererei svelato l’arcano!

NOTE

[1] Per la produzione Migliuolo-Giustiniani vedasi quanto riportato nel mio articolo I Giustiniani e l’associazione con la manifattura Migliuolo (1810-1810 (settembre 2015) [Leggi].

[2] Per la manifattura del Securo vedasi l’articolo Le porcellane del Brigadiere Francesco Securo (maggio 2017) [Leggi].

[3] Secondo la mitologia, Amaltea era la capra che allattò Giove neonato; quando essa morì, lo stesso Giove decise, in segno di riconoscenza, di portarla tra le stelle e trasformarla in una di esse. Tale astro corrisponderebbe a quello di Capella (capretta), nella costellazione dell’Auriga. In molte raffigurazioni grafo-pittoriche la presenza di una capra con giovanissimi putti, amorini, eroti festanti rimanda al dettato iconografico della mitica capra Amaltea e del dio Giove.

[4] A proposito della Real Fabbrica e di tutte le manifatture ceramiche richiamate nel presente contributo, occorre sottolineare come i contenuti decorativi di alcune opere da esse prodotte venissero mutuati da rappresentazioni pittoriche utilizzate nella Manufacture de Porcelaine de Sèvres, così come rilevato dal Marchese Emanuele Tapparelli d’Azeglio (Torino, 17.09.1816- Roma, 24.4.1890) all’atto di una importante donazione di ceramiche (porcellane comprese), vetri e dipinti che egli elargì al Museo Civico di Torino (Palazzo Madama) nel 1875 e della quale faceva parte anche la fiamminga sopra presentata (vedasi ancora Figura 9). Lo stesso Tapparelli d’Azeglio fu anche Direttore del Museo dal 1879 al 1890.

Bibliografia
-Angela Carola-Perrotti, Porcellane e Terraglie napoletane dell’Ottocento in “Storia di Napoli”, IX, Cava dei Tirreni, 1972.
-Angela Carola-Perrotti, Guido Donatone, Ciro Ruju, Porcellane e Terraglie a Napoli dal Tardo-Barocco al Liberty, Soc. Edit. Napoletana, 1984.
-Angela Carola-Perrotti, Le Porcellane Dei Borbone Di Napoli, Capodimonte e Real Fabbrica Ferdinandea, Guida Edit., Napoli, 1986.
-Mario Rotili (con aggiornamento di Antonella Putaturo Murano), La Manifattura Giustiniani, Edizioni scientifiche italiane, Ercolano 1981.
-Angela Carola-Perrotti, Le Porcellane napoletane dell’Ottocento, Grimaldi, Napoli 1990.
-Guido Donatone, La Terraglia Napoletana (1782-1860), Grimaldi & C. Editori, Napoli 1991.

Settembre 2024
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