Una copia del Sacrificio del Mausoleo Martinengo e alcune note iconografiche e stilistiche
di Vito Zani
Il Mausoleo Martinengo, sontuoso monumento funebre in marmi policromi e bronzo, conservato ai Musei Civici di Santa Giulia a Brescia, è noto agli studi come il complesso scultoreo di committenza privata più imponente, rappresentativo e problematico della Brescia rinascimentale [Figura 1, nota 1].
Figura 1. Bernardino Dalle Croci e Gasparo Cairano, Mausoleo Martinengo, marmi e bronzo, 1503-1517 circa, Brescia, Musei Civici.
Commissionato nel 1503 dai fratelli Francesco e Antonio II Martinengo di Padernello all’orafo Bernardino Dalle Croci, che dovette subappaltarne il preponderante lavoro marmoreo allo scultore Gasparo Cairano, il monumento venne presumibilmente consegnato solo verso il 1517-1518, con ogni probabilità incompleto di alcune delle parti bonzee previste in origine.
Collocato allora nella chiesa di S. Cristo a Brescia e trasferito poi alla sede attuale nel 1882, il Mausoleo Martinengo deve un aspetto essenziale della sua notorietà al lacunoso ma ugualmente ricco e sofisticato sistema iconografico di cui è corredato, con soggetti sacri e profani, taluni non ancora decifrati (nota 2), che nelle scene maggiori presentano interessanti composizioni originali, di cui peraltro non si conoscono copie.
Si comprende così l’importanza della recentissima scoperta, presentata in questa pagina, di una copia antica di una delle composizioni più enigmatiche del monumento, quella con una Scena di sacrificio su uno dei due tondi in marmo retrostanti le colonne [Figure 2 e 3].
Figura 2. Gasparo Cairano (attr.), Scena di sacrificio, marmo, particolare del Mausoleo Martinengo.
Figura 3. Intagliatore bresciano, Scena di sacrificio, legno. ubicazione ignota.
La copia è stata individuata da Andrea Bardelli in un medaglione ligneo pubblicato nel 1912 sul catalogo dell’asta berlinese in cui venne dispersa una parte dell’importante collezione di Friedrich Lippmann (nota 3), conservatore del Kupferstichkabinett dei musei berlinesi, morto nel 1903.
Dell’opera, di cui si ignorano le origini e le sorti, non è stata reperita altra testimonianza che in questo catalogo d’asta, che ne riporta l’unica fotografia nota (qui riprodotta), i dati materiali (legno di noce, diametro 30,5 cm.), una generica attribuzione all’Italia settentrionale verso il 1500, senza proposte di confronti stilistici o iconografici con altre opere, e un’altrettanto generica indicazione del soggetto come “Opferszene”, cioè Scena di sacrificio, non ulteriormente specificata.
L’opera è all’apparenza cinquecentesca e avrebbe le stesse dimensioni dell’originale del Mausoleo Martinengo, da cui diverge per il livello qualitativo un po’ inferiore. In essa sembra poi mancare la quinta montuosa sulla destra, mentre il gruppo di fondo con l’altare e l’ignudo che ne alimenta il fuoco è leggermente spostato sulla sinistra, comportando una riduzione della figura dell’anziano con le mani giunte, di cui sono appena modificate anche la postura e le dimensioni della testa.
Nettamente diverso è il piccolo particolare del carro accennato sotto l’arco del cielo, che nel marmo ha quattro ruote ed è trainato da una o due aquile (o grifoni?), mentre sul legno compare un più piccolo calesse a due ruote tirato da cavalli (nota 4).
Il tema principale della scena pare comunque identificabile in un sacrificio, cioè in un soggetto alquanto raro, che nell’Italia settentrionale di quegli anni compare sotto tutt’altre forme e soprattutto nella bronzistica, attraverso gli esempi raccolti e commentati da Fritz Saxl in uno storico saggio del 1939 (nota 5): dai due più celebrati riquadri di Andrea Riccio, rispettivamente sul candelabro pasquale al Santo a Padova e sul monumento Della Torre in S. Fermo Maggiore a Verona (nota 6), ad alcune placchette del Moderno (oggi identificato nel veronese Galeazzo Mondella), nelle quali il tema è raffigurato come dettaglio antiquario all’interno di scene sacre, con significati allusivi ad esse (nota 7).
Tutti questi esempi presentano composizioni strutturalmente diverse da quella del tondo Martinengo, anche se bisogna rilevare l’analogia della presenza del tema su un monumento funebre come quello dei Della Torre, peraltro già posto in rapporto col coevo Mausoleo Martinengo per evidenti affinità nella concezione dell’insieme.
Che anche a Brescia ci fossero buone premesse per una singolare formulazione del soggetto come quella del tondo Martinengo, purtroppo sfuggita alla disamina di Saxl, si può capire dalle sorprendenti figurazioni di are scarificali scolpite a fine Quattrocento sulla facciata del santuario di S. Maria dei Miracoli [Figure 4 e 5].
Figure 4 e 5. Impresa sanmicheliana, Are sacrificali, marmo, 1495 ca. Brescia, S. Maria dei Miracoli, facciata.
Più attinente al nostro caso, anche per il formato circolare della scena, è il Sacrificio pagano sul verso della medaglia veneziana autocelebrativa di Vittore Gambello, firmata e datata 1508 [Figura 6, nota 8], recante al recto un meraviglioso autoritratto di questo grande artefice dei metalli, incisore di riconosciuto merito alla zecca di Venezia, sperimentatore del conio nelle placchette come efficace alternativa alla fusione, inventore di una lega resistente e leggera per le armature, oltre che orafo (come Bernardino Dalle Croci), ma soprattutto raffinato cultore dell’antico.
Figura. Vittore Gabello, Sacrificio pagano, bronzo, 1508, collezione privata.
L’importante opera del Gambello, presumibilmente nota anche a qualche artista di Brescia (allora entro i confini della Serenissima), può aver rappresentato uno stimolo all’adozione del soggetto in formato circolare nel Mausoleo Martinengo, dove troviamo un’iconografia strutturalmente simile ma sostanzialmente diversa.
Diversa anche dall’elaborazione del tema che, sul versante sacro, fu allora la più celebre nelle arti figurative, cioè quella dell’episodio biblico del Sacrificio di Noè, affrescato da Michelangelo tra il 1508 e il 1510 in un riquadro sulla volta della Cappella Sistina (nota 9).
Anche questo soggetto era allora poco frequente almeno nelle arti ‘maggiori’, dove non era vincolato a modelli iconografici dominanti (nota 10). La versione di Michelangelo raffigura il vecchio Noè con la moglie accanto all’altare, i tre figli nudi (Sem, Iafet e Cam) e le loro mogli che curano il fuoco e preparano gli animali all’immolazione.
Nel tondo Martinengo ricorrono dunque gli stessi elementi relativi all’azione e alle figure maschili: cioè un vecchio presso un altare su cui si sta compiendo un sacrificio, e tre più giovani ignudi che mettono in opera il rito. Non collimerebbe però col tema biblico l’unica figura femminile della scena, la cui identificazione con la moglie di Noè o di uno dei suoi figli non è compatibile con quello che sembrerebbe un frutto impugnato dalla donna, e tanto meno col suo seno scoperto, all’apparenza non casualmente, mentre volge lo sguardo al giovane intento a portare un agnello al martirio (vedi ancora Figura 2), tanto da far supporre che in questi particolari si volesse piuttosto evocare il tema del peccato originale (nota 11).
Considerando che il Mausoleo Martinengo era stato commissionato per adempiere a una volontà di Bernardino Martinengo di Padernello ad opera di due dei suoi tre figli (nota 12), non si può pertanto escludere un’eminente istanza autobiografica e moraleggiante alla base del soggetto di questa scena, molto probabilmente concepita abbinando l’evocazione di vicende famigliari a suggestioni letterarie.
Se, come pare, la composizione fosse veramente frutto di un’invenzione originale, cioè non desunta almeno in prevalenza da un unico modello preesistente, ci troveremmo di fronte a un prodotto di notevole interesse per la padronanza interpretativa dell’antico, in linea con una cultura radicatasi a Brescia grazie ai cantieri rinascimentali di S. Maria dei Miracoli e della Loggia.
Anziché replicare un unico modello, la scena sembra infatti trarre spunti da diverse altre opere, reinterpretandoli conformemente a un nuovo insieme omogeneo.
Il sopraelevato altare dalla strana foggia potrebbe dipendere da un tempietto cupolato in una placchetta bronzea con Ercole e Caco attribuita al Caradosso [Figura 7], di cronologia non facilmente accertabile (nota 13), mentre, come osservato da tempo da Francesco Rossi, è molto probabile che la figura stante dell’ignudo di spalle derivi da un tondo bronzeo rappresentante Orfeo all’inferno, ritenuto di primo Cinquecento e ricondotto a un anonimo artefice di dibattuta identità, convenzionalmente chiamato Maestro di Orfeo [Figura 8, nota 14]. Infine, Giovanni Agosti ha ravvisato nella donna sulla destra un’ispirazione a un dettaglio dell’incisione di Marcantonio Raimondi con la composizione raffaellesca della Strage degli innocenti, di presunta datazione intorno al 1510 [Figura 9, nota 15].
Figura 7. Caradosso, Ercole e Caco, bronzo, fine XV-inizi XVI secolo. Washington, National Gallery.
Figura 8. Maestro di Orfeo, Orfeo all’inferno, bronzo, inizi del XVI sec. Brescia, Pinacoteca Tosio-Martinengo.
Figura 9. Marcantonio Raimondi, Strage degli innocenti, stampa, 1510-1512 circa, particolare.
Un simile criterio di assemblaggio si ravvisa anche nell’altro tondo marmoreo del Mausoleo Martinengo, che fa coppia con la Scena di sacrificio e rappresenta una Scena di Battaglia [Figura 10]; nel gruppo sulla destra con la donna e il bimbo ritroviamo la Strage degli innocenti di Marcantonio Raimondi [Figura 11], secondo una rielaborazione più complessa, in cui la donna trae ispirazione da due diverse figure, una per il corpo e l’altra per il volto, mentre il bimbo replica frontalmente l’analoga figura rappresentata di spalle nell’incisione.
Figura 10. Gasparo Cairano (attr.), Scena di battaglia, marmo, particolare del Mausoleo Martinengo.
Figura 11. Marcantonio Raimondi, Strage degli innocenti, stampa, 1510-1512 circa, particolare.
Il più caratteristico gruppo sulla sinistra, con un soldato che impenna un cavallo sul nemico soccombente a terra, riprende invece un motivo molto frequente nell’arte monumentale e nella numismatica della Roma imperiale [Figura 12], più volte utilizzato dagli scultori lombardi in epoca rinascimentale, a partire da un tondo sul basamento della Certosa di Pavia, a mio parere da ricondurre alla campagna decorativa del 1473-1478 [Figura 13, nota 16].
Figura 12. Tito imperatore vincitore, verso di moneta romana, circa 72-80 d. C., collezione privata.
Figura 13. Scultore lombardo, Scena di battaglia, marmo, 1473-1478, Pavia Certosa.
In una versione simile a quella pavese, tale motivo era comparso a Brescia negli ultimi anni del Quattrocento, su uno dei fregi sui pilastri del portico della Loggia, dove ritroviamo anche la figura del soldato in piedi, più o meno nello stesso abbinamento della Scena di Battaglia del Mausoleo Martinengo [Figura 14].
Anche questa figura stante – derivata da un topos dell’antichità che ha il suo più illustre esempio nelle statue dei Dioscuri del Quirinale, ma che ricorre in una moltitudine di composizioni, soprattutto su sarcofagi romani con scene di combattimento (nota 17) – è soggetta negli esempi bresciani ai medesimi meccanismi di rotazione incontrati nelle deduzioni dalla Strage degli innocenti: compare infatti di spalle alla Loggia, poi rigirata di fronte nel tondo Martinengo e sul rilievo proveniente dal monumento funebre di Luigi Caprioli, oggi adattato a paliotto dell’altare maggiore della chiesa di S. Francesco, tutte opere attribuibili a Gasparo Cairano [Figura 15, nota 18].
Figura 14. Gasparo Cairano e collaboratori (attr.), Scena di battaglia, marmo, 1495 circa, Brescia, Loggia.
Figura 15. Gasparo Cairano (attr.), Combattimento tra un soldato e un centauro, marmo, 1492 circa, Brescia, S. Francesco.
Se le fonti adottate nella coppia di tondi marmorei del Mausoleo Martinengo ne rendono verosimile una datazione di poco successiva al 1510, la Scena di battaglia si pone in più diretta continuità con la tradizione dei grandi cantieri pubblici bresciani, chiusi da pochi anni, mentre la Scena di sacrificio sembra evidenziare una maggiore sensibilità agli esempi più aulici della bronzistica.
Non stupisce che una simile apertura sia maturata proprio nella singolarità di questo monumento, il cui inedito corredo bronzeo comportò un approvvigionamento di modelli metallici, antichi e moderni, citati già a profusione nelle parti minori, come i piccoli medaglioni in bronzo sui plinti delle colonne (nota 19). E’ naturale supporre che il principale collettore di tali modelli fosse l’orafo Bernardino Dalle Croci, anche per la sua appartenenza al mondo della lavorazione dei metalli. Questa sua specialità, del resto, sembrerebbe anche l’unica ragione per cui gli venne commissionato monumento pure così impegnativo nella parte marmorea, come è appunto il Mausoleo Martinengo, considerando che i due cicli bronzei del complesso, con scene della Passione di Cristo e cortei di Trionfi delle Virtù, costituiscono in effetti gli assi figurativi portanti dell’intero programma iconografico.
L’impatto dei modelli bronzei ricadde dunque sul socio lapicida di Bernardino Dalle Croci al Mausoleo Martinengo, come ha rivelato il tondo in marmo con la Scena di sacrificio, indubbiamente uno dei capolavori della maturità di Gasparo Cairano. L’indispensabile verifica dei tempi di tale ricaduta sul suo percorso è purtroppo resa tanto più difficile dalla mancanza di notizie documentarie circa il suo rapporto di collaborazione col Dalle Croci (nota 20), che ricevette la commissione del Mausoleo Martinengo nel 1503, ma probabilmente iniziò i lavori alcuni anni più tardi.
La Scena di sacrificio attesta se non altro l’incidenza sull’artista di queste fonti intorno al 1510 o poco dopo. Non è quindi inverosimile che un’altra sua importante opera di quegli anni come l’altare di San Gerolamo in S. Francesco a Brescia possa recare qualche segno importante di tale approccio con la bronzistica (nota 21).
Viene infatti da chiedersi se l’adattamento circolare della mantegnesca Zuffa di divinità marine e satiri sui rocchi delle colonne [Figura 16] non abbia in realtà qualche rapporto con l’uso analogo, tipico della bronzistica, di imprimere simili scene in un tutto continuo lungo superfici circolari.
Se ne ritrova un celebre esempio, utile per il confronto, nel Vaso Gonzaga di Jacopo Bonacolsi detto l’Antico [Figura 17], realizzato presumibilmente intorno al 1480-1483, che reca una corteo marino di gusto mantegnesco col Trionfo di Nettuno, del tutto simile nella concezione alla scena delle colonne bresciane.
Figura 16. Gasparo Cairano (attr.), Zuffa di dei marini e satiri, particolare, marmo 1510 circa, Brescia, S. Francesco, altare di S. Gerolamo.
Figura 17. Jacopo Bonacolsi detto l’Antico, Trionfo di Nettuno, particolare del Vaso Gonzaga, bronzo, 1480-1483 circa, Modena, Galleria Estense.
Lo stesso dicasi dei rilievi anulari sui piloni reggistendardo in piazza S. Marco a Venezia, fusi da Alessandro Leopardi nel 1505, probabilmente su modello di Antonio Lombardo (nota 22).
NOTE
[1] Sul Mausoleo Martinengo si veda la scheda di V. Zani, Gasparo Cairano e la scultura monumentale del Rinascimento a Brescia (1489-1517 ca.), Roccafranca, 2010, pp. 135-138, cat. 29. Sulla vicenda museale dell’opera, con un ricco apparato iconografico, si veda Il coro delle monache. Cori e corali, catalogo della mostra (Brescia, Museo di S. Giulia, dic. 2002) a cura di E. Lucchesi Ragni, I. Gianfranceschi, M. Mondini, Milano 2003, pp. 74, 77-80, 84-101, cat. 73.
[2] Su questi aspetti si segnala in particolare F. Rossi, Maffeo Olivieri e la bronzistica bresciana del ‘500, in “Arte Lombarda”, 47/48 (1977), pp. 126-134.
[3] Sammlung des Verstorbenen Geheimen Regierungsrats und Früheren Direktors des Koenigl. Kupferstichkabinetts zu Berlin Friedrich Lippmann, catalogo d’asta (con introduzione di M. Friedlander), Rudolph Lepke’s Kunst-Auctions-Haus, Berlin, asta 1661 (Berlino, 23-27 novembre 1912), p. 46, lotto 169.
[4] E’ da notare che il soldato stante in primo piano reca in entrambi i casi una strana lacuna tondeggiante sull’addome, tra l’ombelico e il pube, difficile da spiegarsi nella copia, dove sarebbe stato possibile correggere con estrema facilità un simile difetto anatomico, peraltro posizionato approssimativamente al centro focale della composizione. Ciò non permetterebbe in ogni caso di ipotizzare la versione lignea come modello del tondo in marmo del Mausoleo Martinengo, alla luce di una norma operativa che nei bozzetti prescriveva materie molto più docili da lavorare e soprattutto suscettibili di correzioni come l’argilla o la cera, tanto più in composizioni articolate e ricche di sottosquadri come questa.
[5] F. Saxl, Pagan sacrifice in the italian Renaissance, in “Journal of the Warburg Institute”, II, 3, 1938-1939, pp. 346-367. Nel saggio non sono nominati né il tondo Martinengo, né la copia Lippmann.
[6] Sul candelabro pasquale si veda D. Banzato, Il candelabro pasquale di Andrea Briosco, in Rinascimento e passione per l’antico. Andrea Riccio e il suo tempo, catalogo della mostra (Trento, luglio-novembre 2008) a cura di A Bacchi e L. Giacomelli, Trento 2008, pp. 97-119 (rilievo con Sacrificio ripr. a p. 109), e la scheda di L. Giacomelli e A. Tomezzoli, in Ibid., pp. 442-451 (rilievo, ora al Louvre, con Sacrificio ripr. a p. 445).
[7] Sulla placchetta argentea del Moderno, raffigurante la Madonna col Bambino e Santi, e recante una scena di sacrificio sul podio del trono, si veda la scheda di D. Gasparotto, in Bonacolsi l’Antico. Uno scultore nella Mantova di Andrea Mantegna e di Isabella d’Este, catalogo della mostra (Mantova, settembre 2008-gennaio 2009) a cura di F. Trevisani e D. Gasparotto, Verona 2008, pp. 278-279, cat. VIII.4. Sulla placchetta bronzea attribuita all’ambito dello stesso artista, raffigurante Cristo in pietà tra Maria e San Giovanni Evangelista, con una scena di sacrificio sul fronte del sepolcro, si veda la scheda di F. Rossi, in Placchette e rilievi di bronzo nell’età di Mantegna, catalogo della mostra (Mantova, settembre 2006-gennaio 2007) a cura di F. Rossi, Milano 2006, pp. 41-42, cat. 12.
[8] G. Pollard, Renaissance medals. Volume One. Italy, Washington 2007, p. 191, cat. 70.
[9] H.W. Pfeiffer, La Sistina svelata. Iconografia di un capolavoro, Milano 2007, pp. 181-185.
[10] Secondo la narrazione della sacra scrittura (Genesi, 8, 15-22), Noè eresse un altare su cui immolò un esemplare di ciascun animale dopo la fine del diluvio universale, e dopo che il Padre Eterno gli aveva ordinato di uscire dall’arca con la moglie, i figli, le nuore, e tutti gli animali, per ripopolare la terra.
[11] Col Sacrificio di Noè non collima neppure la presenza del carro sulla sommità della scena, laddove alcune versioni riportano la figura del Padre Eterno tra le nubi, alludendo al suo apprezzamento per il rito, cui fa esplicita menzione il testo della Genesi. Non si tratta tuttavia di un elemento costante nell’iconografia, che infatti è assente, ad esempio, nel riquadro michelangiolesco della Sistina.
[12] Su questo tratto della genealogia dei Martinengo di Padernello si veda P. Guerrini, Una celebre famiglia lombarda. I conti di Martinengo. Studi e ricerche genealogiche, Brescia 1930, pp.270-276.
[13] J. Pope-Hennessy, Renaissance bronzes from the Samuel H. Kress collection at the National Gallery of art. Reliefs, plaquettes, statuettes, utensils, mortars, London 1965, p. 19, cat. 52.
[14] Rossi, Maffeo Olivieri…cit., p. 130. Per la placchetta con Orfeo all’inferno si veda la scheda di F. Rossi, in Placchette. Sec. XV-XIX, a cura di F. Rossi, Vicenza 1974, pp. 19-20, cat. 25. Sul Maestro di Orfeo, identificato da Bode nel fiorentino Bertoldo di Giovanni ma ritenuto oggi un lombardo con esperienze toscane, si vedano le note di F. Rossi, La collezione Mario Scaglia. Placchette, Bergamo 2011, p. 93.
[15] Riscontro riferito da Zani, Gasparo Cairano… cit., p. 138. Sull’incisione si veda L. Pon, Raphael, Dürer, and Marcantonio Raimondi. Copying and the italian Renaissance print, New York 2004, pp. 118-136.
[16] In questo esemplare pavese, forse il capostipite delle ricorrenze lombarde del tema, sono state rilevate suggestioni combinate da più fonti romane, cfr. A. Burnett, R. Schofield, The Medaillons of the Basamento of the Certosa di Pavia. Sources and Influence, in “Arte Lombarda”, 120, 2 (1997), pp. 24-25, n. 52. Si veda anche P.P. Bober, R. Rubinstein, Renaissance sculpture and antique sculpture, London 1986, pp. 186-194, inoltre J. Gritti, Tradizione dell’antico a Cremona. Le terrecotte decorative del palazzo Stanga Trecco, in “Arte Lombarda”, 152, 1 (2008), pp. 3-15.
[17] Sulla fortuna dei Dioscuri nella scultura del Rinascimento si veda Bober, Rubinstein, Renaissance sculpture… cit., pp. 158-161.
[18] Su queste opere si rimanda a Zani, Gasparo Cairano… cit., pp. 117-118, 123-124, cat. 6, 15.
[19] Si veda Rossi, Maffeo Olivieri… cit., pp. 126-134; Il coro delle monache… cit., pp. 88-89; M. Leino, Italian Renaissance plaquettes and Lombard architectural monuments, in “Arte Lombarda”, 146-148 (2006), pp. 121-122.
[20] E’ noto tuttavia un atto notarile stipulato nella casa del Dalle Croci nel 1520, quando Gasparo Cairano era morto da almeno tre anni, nel quale è registrato come testimone il figlio di quest’ultimo, Giovanni Antonio, detto “aurifex” Zani, Gasparo Cairano… cit., p. 155, doc. LIII.
[21] Sull’opera si veda Zani, Gasparo Cairano… cit., pp. 125-126, cat. 17.
[22] Sulle due opere bronzee, la cui analogia nella costruzione narrativa era stata già rilevata da Leo Planiscig nel 1930, si veda il contributo di M. Ishii, Le metamorfosi dell’ippocampo: l’antico in Antonio Lombardo e in Jacopo Alari Bonacolsi detto l’Antico, in L’industria artistica del bronzo del Rinascimento a Venezia e nell’Italia settentrionale, atti del convegno (Venezia, 23-24 ottobre 2007), a cura di M. Ceriana e V. Avery, Verona 2008, pp. 135-156; sul Vaso Gonzaga si veda anche la scheda di D. Gasparotto, in Bonacolsi l’Antico… cit., pp. 132-133, cat. I.9.
Prima pubblicazione: Antiqua.mi, marzo 2013
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