Una coppia di piatti istoriati in maiolica, belli ma non antichi

di Gianni Giancane

Sottoposti alla nostra attenzione da parte di una gentilissima lettrice, i grandi piatti istoriati in maiolica policroma, di immediato impatto visivo, si presentano in eccellente stato di conservazione ed invitano ad un’accurata ricerca onde risalire alla loro epoca e paternità [Figure 1 e 2].

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Figure 1 e 2. Piatti istoriati in maiolica policroma, diametro cm. 63, Milano, collezione privata.

A prima vista potrebbero apparire come piatti rinascimentali, ma un’attenta analisi degli stessi conduce verso diversi lidi e chiarisce ogni dubbio.
Realizzati probabilmente in area centroitaliana (Castelli, Gubbio, Gualdo Tadino, per esempio) da una qualche manifattura che ha apposto al verso il marchio [Figura 3], i due manufatti sono stati dipinti con scene storico-mitologiche e rientrano in quella tradizione di ripresa dei modelli cinque-secenteschi, tanto di moda dal secondo Ottocento sino alla metà del XX secolo (nota 1).

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Figura 3. Il retro di uno dei due piatti con il marchio, apposto in nero, oggetto della nostra ricerca; si noti anche lo smalto crema, (fresco, denso, fortemente coprente) e il sistema di aggancio a parete.

A sostegno di tale ipotesi di lavoro giovano alcuni fondamentali parametri e su tutti l’eccessiva ed innaturale “freschezza globale” (tanto al recto quanto al verso) per opere riferibili al XVI-XVII secolo.
Anche le porcellane, terraglie, maioliche subiscono, infatti, un lento ma inesorabile “insulto” del tempo, spesso non immediatamente visibile, ma ben percettibile ad occhi attenti e molto allenati (lo smalto, ad esempio, subisce un naturale “ammorbidimento”, leggera opacizzazione, piccolissime ed invisibili lacune ad occhio nudo, e potremmo continuare…) e questo anche per opere che giungano apparentemente intonse ai nostri giorni.
Inoltre, nei dettagli tecnici risultano di chiara derivazione “moderna” tanto le fattezze morfosomatiche dei personaggi, i tratti al contorno di ambienti e figure, i pigmenti e la distribuzione del colore (sul fronte dei piatti), quanto la formatura, lo smalto, unitamente al sistema di aggancio al muro (sul retro).
Relativamente all’area dipinta si propone per confronto un piatto originale della metà del Cinquecento esposto nella sala delle porcellane di Palazzo Madama a Torino. Si notino le differenti cromie, stesure di colore, fattezze morfosomatiche, e nell’insieme tutto l’impianto compositivo (che denota notevole forza espressiva, realismo e pathos al tempo stesso) rispetto ai piatti in esame [Figura 4].

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Figura 4. Piatto in maiolica policroma, ambito faentino o forlivese, autore Pietro Paolo (?), 1548, Torino, Palazzo Madama (foto dell’autore).

L’elemento più stimolante verso un’attendibile attribuzione delle opere viene tuttavia dallo studio del marchio.

Ricerche e risultati ottenuti
Dopo aver scavato senza successo negli alvei più immediati che potevano condurre a un marchio del XX secolo (nota 2), ho spostato le ricerche verso qualcosa di più antico che aveva preliminarmente attirato la mia attenzione, ma escluso perché non compatibile con il contesto strutturale dell’oggetto (in riferimento al periodo dell’esecuzione materiale, gli smalti, le cromie…).
Il nostro marchio, infatti, anche se realizzato con tecniche non compatibili con quelle molto più antiche, mi rimandava verso le grafie utilizzate quasi sempre dai maiolicari italiani nel XVI e XVII secolo.
Ho esteso pertanto le ricerche spostandole nel tempo, cercando tra le tante manifatture italiane dagli Abruzzi sino all’area ligure-emiliana e alla fine ecco le conclusioni.
Partiamo dal testo di Ris-Paquot, Nouveau Dictionnaire de Marques et Monogrammes, Librairie Eugène Delaroque, Paris 1873, dove a pagina 36 troviamo:

ris-paquot-nouveau-dictionnaire-de-marques-et-monogrammes- eugène-delaroque-parigi-1873

e in una edizione successiva, probabilmente del 1920:

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Notiamo immediatamente lo stesso marchio presente sui nostri piatti. In entrambi i manuali l’autore ci dice: A.F. (ancienne faïence), ossia antica maiolica, Genova, 1750; anche se poi aggiunge che tale marca sia attribuibile anche ad Urbino.
Nel lavoro di un altro autore, A. Genolini, Maioliche italiane, Marchi e Monogrammi, Milano 1881, troviamo:

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riferendo in questo caso il marchio a tal Luca Cambiasi ad Urbino nel XVI secolo.
Un terzo libro A Manual of Marks on Pottery and Porcelain di W.H.Hooper and W.C. Phillips (Macmillan and Co, London and New York, 1894), a pagina 16, riporta a sua volta:

w-h-hooper-w-c-phillips-a-manual-of-marks-on-pottery-and-porcelain-macmillan-and-co-london-new-york-1894

Anche qui si parla di Urbino e si ipotizza Luca Cambiasi, maiolica, in un 1600 generico, senza riferimento ad eventuali periodi più specifici, in evidente disaccordo con le due ipotesi precedenti (1750 per il Ris-Paquot ed il XVI secolo per il Genolini).
Un ulteriore attribuzione del marchio allo stesso autore viene dal manuale del De Mauri L’Amatore di Maioliche e porcellane (U. Hoepli, Milano) dove, a pagina 346 della terza edizione, leggiamo ancora:

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Maiolica antica di Genova, Luca Cambiasi pittore, in questo caso con la sola descrizione di “maiolica antica” e nessun altro riferimento temporale specifico.
Ma finalmente ecco qualcosa di nuovo e più pertinentemente contestualizzato.
Un importante e determinante aiuto viene infatti offerto dal lavoro del Dr. Graesse, Les Marques des Porcelaines Faïences et Poteries, Les édition de l’amateur, Parigi, 2001, dove, a pagina 104 compare il nostro marchio riferito a Castel Durante, probabilmente nel XVI o XVII secolo (nota 3).

dr-graesse-les-marques-des-porcelaines-faïences-et-poteries-les-édition-de-l’amateur-parigi-2001

Considerazioni riassuntive
A mio parere, ai fini del riconoscimento del marchio presente sui due piatti istoriati, quanto riportato sui primi quattro manuali non è da prendere in considerazione.
Escluderei sia Genova (1750) che Urbino (XVI-XVII secolo), anche perché non mi risulta che Luca Cambiasi (o meglio Cambiaso), se ci riferissimo al noto pittore genovese del Cinquecento (Moneglia, 18.10.1527–San Lorenzo de El Escorial, 6.9.1585), si sia mai interessato alla maiolica, a meno di un caso di sconosciuta omonimia con un maiolicaro suo coevo.
Ritengo anzi tali contenuti probabilmente inesatti, anche perché il monogramma utilizzato dal Cambiaso nelle sue opere, laddove apposto (spesso firmava per esteso), è differente dal marchio dei nostri manufatti [Figura 5].

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Figura 5. Luca Cambiaso, Venere (e le Tre Grazie) in lutto per la morte di Adone, xilografia, Londra, British Museum.

Il monogramma di Luca Cambiaso che compare nella xilografia in basso al centro presenta le sole iniziali L e C, intersecantesi, di differente carattere (tema e grafia) e prive di qualsiasi adornamento come la corona rispetto al marchio in esame.
Nel marchio in discussione, infatti, oltre alle iniziali C e L campeggia una corona presente anche nel simbolo della città di Castel Durante.
Ora, il marchio che compare nei piatti in esame è esattamente una riproposizione di quello utilizzato a Castel Durante (o Casteldurante, l’attuale Urbania) in un periodo variabile dal XVI al XVII secolo.
Si notino le analogie ma anche le difformità tra i due marchi, come ad esempio la stentata apposizione e successiva deformazione in fase di cottura dei manufatti, tipica di marchi apposti con tecniche tipo lo stampino (ma anche a grossolano pennello) dal tardo Ottocento in poi [Figura 3bis].

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Figura 3bis. Dettaglio del marchio di cui alla Figura 3 con le sbavature dovute ad una non perfetta interazione tra il colore (nero) e lo smalto di rivestimento in fase di cottura.

Considero pertanto che i due grandi piatti siano stati realizzati in Italia, direi tra la fine dell’Ottocento e il secondo quarto del XX secolo, da una qualche manifattura operante probabilmente in area durantina, utilizzando il marchio di un maiolicaro ivi operante quattro secoli prima, o più semplicemente rifacendosi ad un marchio attinto dalla letteratura disponibile.
Si tenga conto che dall’Ottocento in poi il mercato delle copie, e/o dei falsi, laddove volutamente realizzati, imponeva l’utilizzo di ogni metodo e strategia, quali ad esempio firme apocrife molto simili a quelle originali (ad imitazione dell’antico), per consentire a tanti acquirenti di “possedere qualcosa di antico” senza necessariamente doversi svenare economicamente (nota 4).
I due piatti istoriati restano comunque alquanto gradevoli e di buon impatto scenografico, ben dipinti, dai tratti nitidi e vivaci e con armoniosa distribuzione cromatica.
Pur non rivestendo un particolare interesse antiquariale, acquisiscono un discreto valore commerciale che stimerei tra gli 800 ed i 1.200 euro per la coppia, viste anche le notevoli dimensioni e l’assoluta integrità degli stessi.
Si tenga conto che piatti di area italiana originali del XVI-XVII secolo, di grandi dimensioni, in ottime condizioni di conservazione, raggiungono cifre di alcune decine di migliaia di euro su qualunque canale ufficiale di vendita, ancor più se di grandi firme.

NOTE

[1] È tuttora in corso una ricerca finalizzata a una più esatta identificazione dei soggetti rappresentati e della loro eventuale fonte iconografica.

[2] Malgrado tutti gli sforzi possibili non è stato individuato in nessuno dei numerosi database settoriali, riferiti al periodo sopra ipotizzato, il marchio in questione (esistono manifatture che hanno utilizzato marchi apparentemente simili, ma non come il nostro).

[3] Lo stesso Graesse fa riferimento ad altri autori (nella nota 34 a pag. 118): lo Chaffers e il Delange, accompagnato da un punto interrogativo. Per quanto riguarda il primo, dovrebbe trattarsi di William Chaffers e l’opera presa come riferimento, non specificata dal Graesse, potrebbe essere (il condizionale è d’obbligo) Marks and Monograms on European and Oriental Pottery and Porcelain with Historical Notices of Each Manufactory, Ed. Reeves & Turner, 1906 o altra opera similare come The new Chaffers: marks and monograms del 1912. Il secondo è Henri Delange.

[4] A tale proposito si invita a leggere quanto già scritto a mia firma in un lavoro relativo ad alcune argenterie, apparso precedentemente su Antiqua: Particolari punzonature in area italiana. Individuazione e metodi di indagine (aprile 2020) [Leggi].

Febbraio 2023
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