Un’ipotesi sulla pala d’altare rinascimentale della cappella Caprioli in S. Giorgio a Brescia
di Vito Zani
Solo pochi mesi or sono, nel catalogo della mostra Rinascimento segreto, la scheda dello scrivente sulla statua tardo quattrocentesca di Santa della collezione Cavallini Sgarbi, attribuita al bresciano Gasparo Cairano da Milano, giungeva all’ipotesi che l’opera avesse potuto far serie in origine con altre due statue, a corredo figurativo di un complesso scultoreo ancora da identificare.
La stessa scheda ora riproposta nel catalogo della mostra ferrarese La Collezione Cavallini Sgarbi. Da Niccolò dell’Arca a Gaetano Previati, che aprirà il 3 febbraio, reca una breve integrazione in chiusura che rimanda al contributo qui reso per l’illustrazione della citata ipotesi e per una proposta di identificazione di questo eventuale originario complesso di appartenenza (nota 1).
Procedendo con ordine, il sospetto della pertinenza della Santa Cavallini Sgarbi a un terzetto di statue era maturato in conseguenza delle novità sulla storia collezionistica dell’opera acquisite di recente da Roberto Cara, che ha rinvenuto una fotografia di tardo Ottocento o primissimo Novecento ove la statua è ripresa insieme a un’altra raffigurante un vecchio santo, del tutto conforme nelle misure e sul piano stilistico, attribuita anch’essa a Gasparo Cairano dallo studioso, secondo cui da tale fotografia risulterebbe che le due opere si trovassero ai tempi presso la collezione di Marcello Galli Dunn, messa all’asta a Roma nel 1905 (nota 2).
Per la statua della Santa, è questa la più remota testimonianza rintracciata di una storia dapprima ricostruibile solo a partire dal 1915, quando l’opera già apparteneva alla raccolta dell’antiquario Canessa di Napoli.
Per quanto riguarda invece la statua dell’anziano santo barbuto, si tratterebbe di un pezzo non altrimenti noto, mai transitato negli studi critici e tuttora di ubicazione sconosciuta.
Di contro, già si sapeva della provenienza dalla raccolta Galli Dunn di una statua del Castello Sforzesco di Milano raffigurante la Madonna in trono col Bambino, attribuita da poco più di un quindicennio a Gasparo Cairano e giudicata in stretta prossimità cronologica con la statua della Santa Cavallini Sgarbi (nota 3).
Dall’inevitabile verifica sul catalogo di vendita del 1905 della collezione Galli Dunn [Figura 1] – in precedenza noto a chi scrive soltanto nelle pagine relative alla Madonna in trono col Bambino, tramite le fotocopie passategli a suo tempo da un conoscente – si è così preso atto che anche le altre due statue furono effettivamente messe all’incanto nella stessa occasione, oltre a comparire riprodotte nella stessa fotografia recuperata da Cara, il quale non fa memoria del catalogo della vendita Galli Dunn, né della Madonna del Castello Sforzesco (nota 4).
Figura 1. Tavole illustrate tratte da: Catalogo della vendita della collezione di Marcello Galli-Dunn, Roma 1905, raffiguranti nell’ordine i lotti 546 (San Giuseppe), 270 (Santa Maria Maddalena), 367 (Madonna con Bambino seduta in trono). La prima statua è ora di ubicazione ignota, le altre due sono conservate rispettivamente alla Fondazione Cavallini Sgarbi di Ro Ferrarese e al Museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco di Milano.
Nel catalogo, le tre statue figuravano genericamente classificate come “Lavoro del secolo XV”, ma ciascuna veniva presentata singolarmente come lotto a sé, senza alcun cenno a una loro possibile relazione, se non quella suscitata alla vista dalla due figure in piedi nella stessa fotografia.
Le tre opere furono addirittura poste in vendita separatamente, in tre rispettive sedute d’asta tenute in giorni diversi, e fu verosimilmente in questa occasione, o in altra poco successiva, che le loro strade si separarono in via definitiva.
Delle ignote circostanze del loro approdo alla raccolta Galli Dunn, ciò che qui premerebbe innanzitutto di sapere è se vi fossero pervenute come nucleo preesistente, o comunque per lo stesso tramite, considerando anche che tra le centinaia e centinaia di opere antiche e d’ogni genere testimoniate in quella collezione non risulterebbero altri marmi dell’epoca di cui si possa congetturare un’origine bresciana.
Naturale chiedersi, a questo punto, se sia una mera coincidenza anche il fatto che le tre statue non solo appaiano strettamente legate dall’evidenza di una comune autografia, pressoché centrata sul medesimo punto di stile, ma offrano anche una certa impressione di reciproca complementarità funzionale nel suggerire la tipica struttura a trittico, con la Madonna al centro e i santi ai lati (nota 5).
Da qui il sospetto della pristina coerenza dei tre marmi ad un unico complesso scultoreo, come già si era concluso nella scheda per Rinascimento segreto.
Il tentativo di andare oltre, cioè di individuare nelle fonti questo ipotetico nucleo figurativo, non può purtroppo contare sulla precisa identificabilità del soggetto delle due statue in piedi, la cui iconografia si limita a definire un santo vecchio con la barba e una santa giovane dai lunghi capelli, entrambi paludati e privi di attributi ulteriormente distintivi o scritte (nota 6).
Sul catalogo della vendita Galli Dunn le due figure venivano indicate come San Giuseppe e Santa Maria Maddalena, ma non è dato sapere se la designazione dipendesse da una memoria delle loro origini piuttosto che da un’interpretazione a posteriori, approssimata sui dati iconografici visibili.
Del presunto San Giuseppe, come detto, si persero le tracce, mentre la Maddalena ricomparve in diverse altre occasioni, con diverse altre identità. Nel 1915, all’expo di San Francisco, fu presentata dall’antiquario Canessa semplicemente come Lady in an erect position and covered with silken drapery, promossa poi a Virgin of the Annunciation nei cataloghi del 1919 e del 1924 dello stesso mercante.
Entrata nel 1946 al County Museum di Los Angeles, venne esposta e catalogata come Angel, rimanendo tale fino a che, nel 1991, il museo californiano la pose in vendita quale contraffazione novecentesca di Alceo Dossena. Riabilitata allo status di autenticità, fu quindi presentata come Annunciata nel 2006 a una mostra a Mantova, mentre lo scrivente optò in ultimo per una Santa non meglio identificabile (nota 7).
In definitiva, se il presunto San Giuseppe sembrerebbe reggere bene l’identità assegnatagli, la sequenza di cambi di soggetto della statua femminile Cavallini Sgarbi restituisce i termini di un’effettiva difficoltà di lettura, culminata nell’equivoco di genere che per mezzo secolo ne trasformò l’identità sessuale in quella di un angelo.
Posti questi limiti di incertezza sul piano iconografico, la ricognizione sulle fonti bresciane ispira tuttavia un forte interrogativo sulla possibile attinenza delle tre statue con le testimonianze di un’ancona marmorea nella cappella dei nobili Caprioli della chiesa cittadina di S. Giorgio, che recava al centro la Madonna col Bambino e ai lati San Giuseppe e Santa Caterina d’Alessandria, quest’ultima anche titolare dell’altare e della cappella (nota 8).
In questa cappella, che ora sappiamo edificata (o riedificata) nel 1496 da Filippo Grassi da Milano (nota 9), restano oggi dell’originario corredo scultoreo soltanto l’arco decorato e i relativi pilastri con rilievi a candelabre, lasciati dai rimaneggiamenti settecenteschi.
E’ accertato però che da lì proveniva la grande Adorazione a rilievo, originariamente sul fronte del monumento funebre del fondatore dell’altare, Luigi (o Alvise) Caprioli, morto nel 1492, riutilizzata oggi come paliotto dell’altare maggiore della chiesa bresciana di S. Francesco [Figura 2, nota 10].
Figura 2. Gasparo Cairano (attr.), Adorazione dei pastori, Brescia, S. Francesco.
Di tale sepolcro e dell’ancona abbiamo notizia dagli appunti ripresi negli itinerari cittadini tra il Seicento inoltrato e il primo Settecento da Bernardino Faino e Francesco Paglia:
“Nella Capella di S.ri Cavrioli la Pala è di Rilievo in marmo La Madona Con il Putino et Sto Gioseffo e Sta Caterina. Un deposito in detta Capela di marmo della sudetta mano dedicato ad Alovisio Cavriolo Cosa fatta diligentemente cosa mto antica” (nota 11).
“In S. Giorgio Osservare le scolture, et deposito nella Capella di S. Catteri[na]” (nota 12).
“Nella seconda Cappella […] l’altare è tutto di marmo rilievo figurato si scorgono figure molto belle et un deposito a lato di marmo della med.ma maniera molto antico intagliato di figure assai belle dedicato ad Alovisio Cavriolo N.B.” (nota 13).
La sbrigativa citazione di queste fonti riporta un’ancona “a rilievo”, d’acchito non compatibile coi tre marmi in questione, sebbene quello destinabile alla posizione centrale, cioè il gruppo della Madonna in trono col Bambino, risulti tecnicamente un rilievo, con la parte figurata emergente dal trono come da un supporto di fondo, che infatti è appiattito in modo scabro sul retro, sommariamente ricurvo, ma non è questo il punto.
Di norma le ancone avevano partiture a rilievo, talvolta preponderanti, ed è ben difficile credere che potessero mancarne in un esemplare importante della Brescia di quegli anni, con in corso il cantiere iper decorativo della facciata dei Miracoli, concepita e impiegata proprio come una gigantesca ancona a cielo aperto. Non a caso questo genere di ornamenti all’antica, più o meno riccamente figurati, sarebbe da lì in poi rimasto una costante del gusto bresciano, secolare fonte di riferimento nella prosecuzione dei cantieri.
Ed è solo in questo apprezzamento per le sottili decorazioni e per i rilievi narrativi lavorati altrettanto “diligentemente”, come appunto diceva il Faino, che la scultura rinascimentale trovava posto nelle guide locali del Sei e Settecento.
Il disinteresse per la statuaria rinascimentale evidenziato da questi referti è invece tale che l’unica eccezione, concessa ai maestosi busti di Cesari del palazzo della Loggia, si spiega più che altro con ragioni d’orgoglio campanilistico. Ecco perché l’esaminato accenno telegrafico a un’ancona “a rilievo” doveva quasi certamente presupporre pregevoli parti decorative o istoriate, così come l’eventuale presenza di statue, recepite ormai come irrimediabilmente anacronistiche, sarebbe passata di regola sotto silenzio (nota 14).
Poiché l’altare di Santa Caterina in S. Giorgio era stato fondato da Luigi Caprioli (nota 15), è lecito supporre che costui fosse anche il committente dell’ancona, in tutta probabilità non ancora ultimata al momento della sua morte, nel 1492.
Non si potrebbe escludere che anche il monumento funebre con l’Adorazione e la stessa edificazione (o riedificazione?) della cappella fossero stati commissionati dal medesimo nobiluomo, il quale, secondo gli standard contrattuali, in caso di morte avrebbe trasmesso l’incombenza agli eredi, ovvero il figlio Agostino, che nel 1496 liquidò Filippo Grassi per i lavori edilizi e che l’epigrafe sul perduto sepolcro del padre (trascritta qui più avanti) riferiva quale committente anche di quest’opera.
Tuttora insondate dalle indagini d’archivio, le vicende dello smembramento dei corredi scultorei all’interno della cappella coincisero verosimilmente con la reintitolazione dell’altare a San Francesco di Sales. Vicende che un ulteriore ricorso alla guidistica permetterebbe di collocare dopo i citati appunti del Paglia, ultimo testimone dei marmi in loco tra il 1675 e il 1713, e prima di quelli del Maccarinelli, scritti tra il 1747 e il 1751, cui risale la prima menzione del nuovo assetto della cappella, con la pala dipinta da Domenico Carretti raffigurante San Francesco di Sales e Santa Caterina con Maria in Gloria, ora al Museo Diocesano di Brescia, probabilmente concepita per l’ancona marmorea ancora oggi sulla parete di fondo della cappella stessa (nota 16).
Si presume che i Caprioli ne avessero allora già abbandonato il giuspatronato, altrimenti non sarebbe facile spiegare come mai i resti del sepolcro dell’illustre avo conte Luigi fossero finiti nella disponibilità del curato di S. Giorgio. Il che è rivelato da un remoto appunto un po’ vago, ma sufficiente a chiarire come fosse uscito dalla chiesa, in primo Ottocento, il rilievo con l’Adorazione, già sul fronte della suddetta tomba:
“Esisteva già nella chiesa di S. Giorgio un monumento al Conte Luigi Capriolo sopra il quale stava la seguente iscrizione: Aloysio Capreolo Patritio / Religione . Fide . Innocentia / Meritis . In . Rem . P . Spectatiss. / Summis . Honoribus . Functo . Qui / Ætatis LXXVII Theogoniae / Anno MCCCCLXXXXII / F.M.I. Augustinus . F . Patri . Optatissim / D.D. Parte del monumento ossia li stipiti si vedono ancora in detta chiesa all’altar di S. Francesco ed il basso rilievo che stava sul davanti del monumento trovasi ora nel parapetto dell’altar maggiore di S. Francesco in Brescia. Certo Rettore vicario di S. Giorgio vendette porzione di detto monumento al Conte Paolo Tosio e gli eredi del Conte Tosio lo vendettero ad altro di Brescia che finalmente lo passò alla chiesa di S. Francesco” (nota 17).
Quanto alle tre statue qui discusse, non si può non notarne l’impressionante sintonia proprio con quest’unico marmo di accertata provenienza dalla cappella Caprioli, cioè il rilievo a cui alludevano il Faino, dicendolo “della sudetta mano” dell’ancona, e il Paglia, che si limitava a giudicare le due opere “della medesima maniera”.
Gasparo Cairano (attr.), Adorazione dei pastori, particolare, Brescia, S. Francesco.
Gasparo Cairano (attr.), Madonna in trono col Bambino, particolare, Milano, Museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco (Copyright Comune di Milano. Tutti i diritti riservati).
Gasparo Cairano (attr.), Adorazione dei pastori, particolare, Brescia, S. Francesco.
Gasparo Cairano (attr.), Madonna in trono col Bambino, particolare, Milano, Museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco (Copyright Comune di Milano. Tutti i diritti riservati).
Gasparo Cairano (attr.), Adorazione dei pastori, particolare, Brescia, S. Francesco.
Gasparo Cairano (attr.), Santa, Ro Ferrarese, Fondazione Cavallini Sgarbi (particolare della Figura 1, statua al centro).
Fatte salve le esigenze di adattamento alla scala miniaturistica delle figure dell’Adorazione, il loro legame con le tre statue non pare meno stretto di quello che tiene insieme questo gruppo di sculture alle opere documentate di Gasparo Cairano: un legame già abbondantemente esaminato a suo tempo, anche su Antiqua (nota 18), sebbene non fosse stato possibile prendere in considerazione l’allora sconosciuto San Giuseppe: non solo il pezzo apparentemente migliore del terzetto, ma anche quello che evidenzia più degli altri il legame già ravvisato.
Gasparo Cairano (attr.), Adorazione dei pastori, particolare, Brescia, S. Francesco.
Gasparo Cairano (attr.), San Giuseppe, ubicazione ignota (particolare della Figura 1, statua a sinistra).
Gasparo Cairano, Apostolo, Brescia, S. Maria dei Miracoli, documentato 1489.
Gasparo Cairano, Busto di Cesare, Brescia, Loggia, documentato 1493.
La figura riprende con tono intenerito e leggermente nobilitato i moduli impiegati da Gasparo nel ciclo delle dodici statue di Apostoli del santuario dei Miracoli, pagategli nel 1489 e corrispondenti all’esordio tutto bresciano della sua carriera. La meravigliosa testa di questo presunto San Giuseppe sembra però risentire già dei parametri di rappresentazione e della ricerca emotiva con cui l’artista era entrato alle prese almeno dal 1493, coi primi busti di Cesari della Loggia, fornendo qui un nuovo e prezioso esempio della ricaduta di tali esperienze sulla sua arte sacra. Nel tutto tondo da lui prediletto, questo esempio è anche verosimilmente anteriore al primo meglio noto fino ad oggi, cioè il Sant’Apollonio a rilievo su una chiave di volta per il portico del palazzo della Loggia, documentata al 1497 (nota 19). Superfluo dire che la speranza di rintracciare questa figura smarrita corrisponde all’aspettativa di recuperare una delle prove più notevoli della statuaria sacra del maestro a ridosso della sua maturità.
Al di là dell’ipotesi sulla pristina destinazione delle tre statue all’ancona, da cui ha avuto origine lo studio esposto in questa pagina, si è rivelato utile come sempre tornare sui confronti e riaffermarne il valore probante, che immancabilmente andrebbe verificato quando si formula o si contesta un’attribuzione, anche nel caso di opere documentate, tanto più se la documentazione è incerta, o presunta, oppure – può avvenire anche questo – puramente fantasticata.
Più che giusto ricordarlo ora, di fronte alla teoria lanciata da un articolo apparso di recente su un periodico specialistico di storia dell’arte, secondo cui il rilievo con l’Adorazione del monumento Caprioli, a prescindere da indagini di ordine filologico, sarebbe un indiscutibile autografo di Filippo Grassi, la prima sua opera fin qui conosciuta, data per certa in base all’atto di pagamento per i lavori di edificazione della cappella (nota 20).
Nell’atto non è nominata alcuna scultura, ma se pure fosse dimostrabile una loro sottintesa inclusione – e quanto lo sia risulta chiaro dal carattere meramente presuntivo delle ragioni addotte in merito dall’articolista -, l’idea che basti questo a garantirle come autografi di Filippo Grassi potrebbe persuadere soltanto chi ignora l’elementare cognizione, ben ferma tra i pilastri metodologici della ricerca in questo campo, che presso gli scultori lombardi dell’epoca l’appaltatore di un’impresa non ne è necessariamente anche l’esecutore materiale. E ciò non solo per la comune pratica degli interventi di allievi o collaboratori interni alla bottega, ma anche per la documentata ricorrenza di strategie imprenditoriali di altro livello, non assimilabili alle consuetudini delle altre arti.
Per il resto, nel non menzionare alcuna scultura, l’atto in questione conferma in pieno la regola già fissata da tutti gli altri documenti noti anche da tempi remotissimi su questo artefice: d’improvviso incoronato massimo scultore figurativo della Brescia rinascimentale (quale è, fino a prova contraria, l’autore dell’Adorazione Caprioli), pur non avendo lasciato qualsivoglia testimonianza di una sua attività come maestro di figura, nemmeno in quei cantieri dove la scultura figurativa era tanto praticata quanto documentata e dove, per l’appunto, egli risultava presente sempre e solo per qualcos’altro, tipo fornire pietre, colonne, stipiti o simili, oppure quale supervisore dei lavori, come avevano già ben notato gli studi precedenti.
A questo scoop della rivista “Arte Lombarda”, alla sua qualità scientifica e alle gravissime distorsioni mistificanti con cui l’autore riporta contenuti fondamentali di altrui ricerche sarà a breve dedicata un’approfondita analisi da parte di chi scrive (nota 21).
L’autore ringrazia Alberto Zaina per aver amichevolmente prestato la sua competenza e i suoi consigli. Grazie anche a Emanuela Timelli e a Ennio Ferraglio per il loro impagabile contributo a questo studio.
NOTE
[1] V. Zani, scheda in Rinascimento segreto, catalogo della mostra (Urbino, Pesaro, Fano, aprile-settembre 2017) a cura di V. Sgarbi, s.l. 2017, pp. 184-185 n. 8; Id, scheda in La Collezione Cavallini Sgarbi. Da Niccolò dell’Arca a Gaetano Previati, catalogo della mostra (Ferrara, febbraio-giugno 2018) a cura di V. Sgarbi, pp. 18-19 n. 9, in corso di stampa. L’attribuzione risale a Id., Gasparo Coirano. Madonna col Bambino, in “Spunti per conversare” (Galleria Nella Longari, Milano), 5, dicembre, s.l. 2001, p. 31 nota 32. Sull’artista, in generale, si rimanda a Id., Gasparo Cairano e la scultura monumentale del Rinascimento a Brescia (1489-1517 ca.), Roccafranca (Bs) 2010.
[2] R. Cara, Ricerche intorno a Giovanni Antonio Amadeo e alla scultura del Rinascimento in Lombardia, Tesi di dottorato, Università di Padova, supervisori V. Romani e G. Agosti, 2015, p. 263 nota 491, fig. 239.
[3] Sull’opera si veda da ultimo V. Zani, scheda in Museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco. Scultura lapidea. Tomo secondo, Milano 2013, pp. 72-74 n. 508; l’attribuzione all’artista risale al 2001 (Id., Gasparo Coirano, cit. p. 24).
[4] Catalogo della vendita di rarissimi quadri, bronzi, arazzi, marmi, mobili ed oggetti di curiosità del Prof. Cav. M. Galli-Dunn, Roma,Galleria Sangiorgi, catalogo n. 108, Roma 1905, pp. 33, 44, 64, nn. 270, 367, 546, tavv. XXV, XXIX. Le fotografie recano il marchio dello studio Danesi di Roma.
[5] La Madonna col Bambino del Castello Sforzesco è alta 79 cm., la Santa Cavallini Sgarbi 95 cm. e il Santo disperso veniva indicato alto 90 cm. nel catalogo Galli Dunn, dove anche la Santa poi Cavallini Sgarbi veniva data della stessa altezza. Poiché dalla foto che ritrae assieme le due statue si evince effettivamente la stessa altezza, che dunque va tarata sui 95 cm. anche per il perduto San Giuseppe. Lo scarto con la Madonna del Castello sforzesco si deve alla posizione seduta della figura e al piedistallo più alto rispetto alle due statue, il che le restituisce la piena compatibilità dimensionale dell’insieme.
[6] Può essere che alle due figure fossero aggregati in origine degli elementi in altro materiale, andati perduti, sul genere del cagnolino in legno intagliato e dipinto ai piedi della statua marmorea di San Rocco attribuita a Gasparo Cairano e conservata nella chiesa bresciana di S. Nazaro (Zani, Gasparo Cairano e la scultura monumentale, cit., p. 120 n. 9), ma può anche essere che l’identità dei due santi fosse specificata solo da didascalie, oppure che non lo fosse affatto. Del resto, proprio il ciclo che qualche anno prima aveva inaugurato il nuovo corso della statuaria bresciana, ossia i dodici Apostoli della chiesa di S. Maria dei Miracoli – prima grande impresa di Gasparo Cairano, compiuta nel 1489 -, presenta le figure senza i canonici attributi specifici, ma tutte indistintamente con un libro tra le mani (Ibid., pp. 102-104, 115 n. 1).
[7] Catalogue Canessa’s Collection, s.l. 1915, n. 57, fig. 57; Illustrated catalogue of the Canessa collection of rare and valuable objects of art of the Egyptian, Greek, Roman, Gothic and Renaissance periods, New York 1919, n. 141; Illustrated catalogue of art collection of the expert antiquarians C. & E. Canessa of New York, Paris, Naples, consisting of Egyptian, Greek, Roman, Gothic and Renaissance marble, bronze, stucco, terra-cotta, Limoges enamels, primitive paintings, early tapestries, orfèvrerie, Italian majolica and furniture gathered from important collections of Europe, to be sold at unrestricted public sale owing to the death of cav. Cesare Canessa and in order to facilitate the liquidation of his estate, New York 1924, n. 124; W.R. Valentiner, Gothic and Renaissance sculptures in the collection of the Los Angeles County Museum, Los Angeles, 1951, pp. 102-103 n. 39; Sotheby’s, European works of art, arms and armours, forniture and tapestries, catalogo d’asta (New York, 12-15 gennaio 1991), New York 1991, lotto 33; V. Sgarbi, scheda in La scultura al tempo di Andrea Mantegna tra classicismo e naturalismo, catalogo della mostra (Mantova, settembre 2006-gennaio 2007) a cura di V. Sgarbi, Milano 2006, pp. 160-161; Zani, Gasparo Cairano e la scultura monumentale, cit., pp. 69, 117 n. 5.
[8] Che si trattasse della santa d’Alessandria è precisato da numerosi documenti delle visite pastorali, conservati presso l’archivio diocesano di Brescia, gentilmente resi noti allo scrivente da Emanuela Timelli.
[9] G. Merlo, Novità documentarie sull’attività di Filippo de Grassi «picapreda», in “Arte Lombarda”, 178, 3, 2016, pp. 62-68.
[10] Per una completa rassegna storica e critica dell’opera vedi Zani, Gasparo Cairano e la scultura monumentale, cit., pp. 117-119 n. 6; per la recente attribuzione a Filippo Grassi vedi Merlo, Novità documentarie, cit., oltre alle ultime righe del presente testo.
[11] B. Faino, Catalogo delle chiese di Brescia, a cura di C. Boselli, Brescia 1961, p. 32 (manoscritto databile tra il 1630 e il 1669).
[12] Ibid., p. 158.
[13] F. Paglia, Il Giardino della Pittura, a cura di C. Boselli, vol. I, Brescia 1967, p. 107 (manoscritto databile tra il 1675 e il 1713).
[14] Valga l’esempio dell’arca di Sant’Apollonio oggi nel Duomo Nuovo, di cui venivano sistematicamente sottaciute le bellissime statue del santo titolare e dei Santi Faustino e Giovita, a fronte di un marcato apprezzamento per i rilievi narrativi. Per un resoconto sulla guidistica bresciana di quest’epoca in rapporto alla scultura rinascimentale, si veda Zani, Gasparo Cairano e la scultura monumentale, cit., pp. 47-52; per l’arca di Sant’Apollonio vedi Ibid., pp. 130-132.
[15] Come risulta dai testi della visita apostolica di Carlo Borromeo (A. Turchini, G. Archetti, Visita apostolica e decreti di Carlo Borromeo alla diocesi di Brescia. I. La città, in “Brixia Sacra. Memorie storiche della diocesi di Brescia”, s. III, VIII, 2003/1-2, p. 337).
[16] F. Maccarinelli, Le glorie di Brescia, a cura di C. Boselli, Brescia 1959 (manoscritto databile tra il 1747 e il 1751).
[17] Si tratta di una delle annotazioni manoscritte su una copia della guida di Alessandro Sala (Pitture ed altri oggetti di belle arti di Brescia, Brescia 1834), appartenuta prima a Stefano Fenaroli e poi a Paolo Guerrini (Biblioteca Queriniana, Brescia, P. VII. 35, foglio rilegato accanto alla p. 104), resa nota dallo scopritore, Zani, Gasparo Cairano e la scultura monumentale, cit., p. 117.
[18] [Leggi].
[19] Sulle statue degli Apostoli vedi Zani, Gasparo Cairano e la scultura monumentale, cit., pp. 102-104, 115 n. 1; sui Busti di Cesari vedi Ibid., p. 122 n. 13; sulla chiave con Sant’Apollonio, Ibid., p. 121 n. 12.
[20] Merlo, Novità documentarie, cit. I lavori costarono in tutto 592 lire planette e non sono specificati nel documento, né verificabili in situ, a causa dei rimaneggiamenti edilizi dei secoli seguenti.
[21] Si leggano in proposito le osservazioni già rese da altri [Leggi] (nella versione originale veniva fornito il link ad artebrescian.blog, poi inspiegabilmente rimosso da Google come segnalatoci da Roberto Panchieri, che ringraziamo, il quale ci ha comunicato che l’articolo in questione è stato pubblicato su academia.edu, ndr 31.8.2020).
Prima pubblicazione: Antiqua.mi, febbraio 2018
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